Corte di Giustizia Europea: divieto discriminazione anche per lavoratori autonomi

Corte di Giustizia Europea: divieto di discriminazione anche per i lavoratori autonomi
(foto Shutterstock)

Importante sentenza sul campo di applicazione della Direttiva antidiscriminazioni e che equipara gli autonomi ai lavoratori subordinati

Ha perso il posto per aver pubblicato un video su YouTube in cui sensibilizzava gli spettatori su temi gay friendly. La TV polacca non ha gradito il contenuto e nei giorni successivi ha interrotto la collaborazione con l’autore. 

Da questi fatti è iniziata la vicenda giudiziaria che è approdata sino alla Corte di Giustizia Europea. La sentenza dello scorso 12 gennaio 2023 enuncia due importantissimi principi in materia antidiscriminatoria: la Direttiva 78/2000 contro le discriminazioni si applica non solo ai lavoratori subordinati ma anche ai lavoratori autonomi e ai professionisti; inoltre, l’atto di recesso da una collaborazione, formale o attraverso fatti concludenti, è equiparabile a un licenziamento e gode delle stesse tutele previste dalla normativa antidiscriminatoria.

Il caso e la questione sottoposta alla Corte di Giustizia

Il sig. J.K. è stato per molti anni un collaboratore della TP S.A., una delle principali emittenti televisive in Polonia. Svolgeva mansioni di montaggio di contenuti audiovisivi e trailer in forza di contratti di lavoro autonomo, rinnovati dopo ogni scadenza, dal 2010 al 2017. 

Il 4 dicembre, J.K. ha pubblicato un video su YouTube con cui sensibilizzava il pubblico a un atteggiamento tollerante nei confronti delle coppie omosessuali. Successivamente alla pubblicazione, l’azienda non lo ha più chiamato al lavoro: dal 6 dicembre gli sono stati annullati tutti i turni e la collaborazione professionale non è più proseguita.

Il sig. J.K. ha fatto quindi ricorso al Tribunale locale per far accertare la natura discriminatoria della condotta realizzata dalla società e per ottenere il risarcimento del danno. Il Tribunale ha sospeso il procedimento, chiedendo alla Corte di Giustizia se la Direttiva 78/2000 sia applicabile anche ai rapporti di lavoro autonomo.

La sentenza: la direttiva anti-discriminazione tutela anche autonomi e professionisti

Il ricorso ha dato l’opportunità ai giudici di Lussemburgo per ribadire un principio di fondamentale importanza: la disciplina contro le discriminazioni trova applicazione non solo per i rapporti di lavoro subordinato, ma per tutte le tipologie di lavoro, dunque anche per i lavoratori e i professionisti.

Per arrivare a questa conclusione, la Corte ha preso le mosse dall’art. 3 della Direttiva 78/2000 che, nel indicare il perimetro di applicazione, prevede che le proprie disposizioni si applichino “a tutte le persone, sia del settore pubblico che del settore privato, compresi gli organismi di diritto pubblico, per quanto attiene (…) alle condizioni di accesso all’occupazione e al lavoro, sia dipendente che autonomo, compresi i criteri di selezione e le condizioni di assunzione indipendentemente dal ramo di attività e a tutti i livelli della gerarchia professionale, nonché alla promozione”. 

Le motivazioni della Corte di Giustizia

Per superare le obiezioni del governo polacco, la Corte ha affermato che la normativa non consente agli Stati membri di decidere che cosa si debba intendere per “condizioni di accesso all’occupazione e al lavoro, sia dipendente che autonomo”. 

Considerato inoltre che ciascuno Stato intende, in modo e con espressioni diverse, il concetto di “lavoro autonomo”, consegue che tale locuzione debba essere intesa “tenendo conto del contesto nel quale vengono utilizzati e degli obiettivi perseguiti dalla normativa di cui essi fanno parte”. 

E proprio in questo contesto, osserva la Corte, la direttiva non ha voluto limitare la propria sfera di efficacia al solo lavoro subordinato. 

Pertanto, concludono i giudici, la Direttiva antidiscriminazioni non riguarda solo “la tutela dei lavoratori quale parte più debole di un rapporto di lavoro, ma è volta a eliminare, per ragioni di interesse sociale e pubblico, tutti gli ostacoli fondati su motivi discriminatori all’accesso ai mezzi di sostentamento e alla capacità di contribuire alla società attraverso il lavoro, a prescindere dalla forma giuridica in virtù della quale esso è fornito”.

Tutela antidiscriminazione anche per il recesso dalle collaborazioni

Il secondo principio di diritto riguarda l’equiparazione della risoluzione delle collaborazioni al licenziamento del lavoratore. 

Nell’ambito del giudizio, infatti, il governo polacco ha sostenuto che la normativa contro le discriminazioni non troverebbe applicazione alle risoluzioni dei rapporti di lavoro autonomo poiché non si tratterebbe di un licenziamento, previsto solo nell’ambito del lavoro subordinato. 

La Corte non ha accolto tale eccezione, affermando che “analogamente a un lavoratore subordinato che può involontariamente perdere il suo lavoro dipendente a seguito, in particolare, di un licenziamento, una persona che ha esercitato un’attività autonoma può trovarsi costretta a cessare tale attività a causa della sua controparte contrattuale e trovarsi, per tale motivo, in una situazione di vulnerabilità paragonabile a quella di un lavoratore subordinato licenziato”.

Sulla base di questa sentenza, dunque, deve ritenersi che ciascuno Stato membro non possa adottare una normativa nazionale che neghi la tutela a un lavoratore autonomo che affermi di essere stato discriminato, in ragione del proprio orientamento sessuale, nell’esecuzione o nella cessione di un rapporto di lavoro autonomo o professionale.

 

Leggi anche:

Discriminazione. Come adottare un linguaggio inclusivo

Che cos’è la strategia nazionale LGBTQ per il lavoro

Parità di genere: indicati i parametri per la certificazione

Iscriviti alla nostra newsletter

Ricevi gratuitamente le ultime novità, le storie e gli approfondimenti sul mondo del lavoro.