Sospensione o rinegoziazione dei pagamenti per emergenza Covid-19

(foto Shutterstock)

Pagamenti, stipendi, affitti, prestazioni lavorative: quando è giustificata la sospensione?

Il decreto del 17 marzo (n. 18, all’art. 91) ha stabilito le regole per normare la sospensione o la rinegoziazione delle prestazioni lavorative. Ecco le risposte alle domande essenziali per chiarire quali prestazioni è concesso sospendere e quali no.

Nel periodo di emergenza, può un’azienda non pagare dipendenti o fornitori?

No. Lo stato di emergenza non giustifica il mancato pagamento di dipendenti o fornitori. Più in generale non giustifica la sospensione di qualsiasi tipo di pagamento che un debitore deve a un creditore, e nemmeno la sospensione delle prestazioni lavorative (ad esempio la fornitura di merce dovuta a un cliente).

Quando è giustificata la sospensione di un pagamento?

Il debitore può sospendere il pagamento nel caso in cui la sua prestazione lavorativa non può più essere richiesta a causa della situazione di emergenza. Così, ad esempio, se un debitore ha dovuto interrompere la propria attività, in quanto compresa fra quelle non ammesse all’esercizio perché ritenuta non essenziale, è giustificata la ritardata consegna del bene dovuto e, al limite, anche il ritardato pagamento della somma di denaro.

Chi valuta se la prestazione deve essere effettuata o no in caso di contenzioso?

Spetta al giudice stabilire se la prestazione dovuta deve essere effettuata, valutando se, a causa della situazione d’emergenza, si sia verificata l’effettiva alterazione delle condizioni originariamente concordate tra le parti. 

Ad esempio, nel caso del pagamento dell’affitto di un locale commerciale, non è possibile richiedere il pagamento se l’attività commerciale in questione è stata chiusa per decreto. In questo caso il debitore può sospendere il pagamento.

Se la mia attività non è cessata ma ha avuto una diminuzione dei ricavi, posso rinegoziare le condizioni contrattuali?

. Il debitore che, a causa delle misure di contenimento, si è visto costretto a ridurre la propria attività e ha di conseguenza registrato una diminuzione dei ricavi, può chiedere al creditore di rinegoziare le condizioni contrattuali (ad esempio il corrispettivo dovuto) per tutto il periodo di emergenza.

È il caso, ad esempio, degli imprenditori del settore della ristorazione, con locale chiuso al pubblico, e che continuano in parte la loro attività lavorativa con le consegne a domicilio. È anche il caso delle imprese che vendono sia offline sia online, e che attualmente possono continuare a svolgere solo vendita online (ad esempio tramite e-commerce) pur continuando a utilizzare i magazzini per conservare le merci. Queste imprese, se, ad esempio, in difficoltà con il pagamento dell’affitto dei locali, possono rinegoziare le condizioni contrattuali.
In tutti i casi in cui il rispetto delle misure di contenimento impone la riduzione dell’attività, c’è un vero e proprio obbligo legale di rinegoziazione delle condizioni contrattuali.

Questo anche per il periodo successivo all’emergenza: infatti vale il principio generale di buona fede nell’esecuzione di qualsiasi rapporto negoziale. Se il creditore non accoglie l’invito alla rinegoziazione, sarà esposto a un obbligo risarcitorio per violazione del principio di buona fede.

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