Operaio offende l’azienda in chat, licenziato e reintegrato

(foto Shutterstock)

La chat era privata e senza finalità diffamatoria. La sentenza definisce i limiti del controllo disciplinare del datore in relazione alle comunicazioni private

Un operaio di Prato, dipendente di un brand di abbigliamento con sede in provincia di Firenze, è stato licenziato per aver offeso la sua azienda in una conversazione privata su WhatsApp.

Il lavoratore non condivideva la decisione dell’impresa di promuovere alcuni dipendenti, e si era lasciato andare ad alcuni “commenti” pesanti in una chat di gruppo con altri colleghi. Uno di questi ultimi però, aveva fatto arrivare il messaggio vocale ai vertici aziendali, che si erano sentiti apostrofati con toni piuttosto pesanti.

In seguito all’accaduto, ad agosto 2018, l’azienda aveva deciso di licenziare il lavoratore perché non poteva più esistere un rapporto di fiducia tra le due parti, considerata la gravità delle affermazioni presenti nel messaggio vocale.

I MOTIVI DEL REINTEGRO

Finita sul tavolo del tribunale del lavoro di Firenze, la vicenda si era conclusa con la decisione di far decadere il licenziamento e procedere con il reintegro dell’operaio da parte del giudice Vincenzo Nuvoli, che aveva ritenuto la chat privata e senza finalità diffamatoria, essendo ristretta a un numero limitato di persone.

Secondo l’avvocato Andrea Logli, che ha assistito legalmente l’operaio insieme ad Andrea Lai, la sentenza «ribadisce che il controllo disciplinare dell’azienda non può spingersi alle comunicazione private del lavoratore, difende il diritto di critica e di pensiero nelle comunicazioni private».

Il valore della sentenza, per Mirko Zacchei, segretario di Femca Cisl di Firenze e Prato, alla quale l’operaio si era rivolto, è «straordinario perché sancisce il diritto alla privacy e disconnessione del lavoratore in un mondo del lavoro sempre più connesso. Si assiste a licenziamenti scaturiti dal controllo che le imprese fanno sui lavoratori grazie all’utilizzo delle nuove tecnologie, che siano Gps, telefonini o pc, proprio per questo motivo. Questa sentenza è importante perché sancisce il diritto alla privacy».

Il lavoratore ora dovrà decidere se procedere con il reintegro o accettare 15 mensilità. Secondo quanto riferito dagli avvocati del dipendente, l’azienda sembra intenzionata a ricorrere in appello.

 

 

Iscriviti alla nostra newsletter

Ricevi gratuitamente le ultime novità, le storie e gli approfondimenti sul mondo del lavoro.