Sentenza Usa: licenziare lavoratore Lgbtq è discriminazione

(foto Shutterstock)

La Suprema Corte degli Stati Uniti, con una sentenza storica, allarga il divieto di discriminazione “basata sul sesso” a tutti gli orientamenti sessuali

È un cambiamento epocale, e arriva proprio sotto un’amministrazione che, di certo, non ha messo la difesa dei diritti umani in cima all’elenco delle priorità. Per i giudici della Corte Suprema degli Stati Uniti, pubblicare la legge che tutela i lavoratori di ogni orientamento sessuale è stato più difficile che sdoganare le nozze gay, concesse già nel 2015. Ai tempi alla guida del paese c’era Obama, che si era speso in prima persona.
A distanza di cinque anni arriva un nuovo importante traguardo, che diventerà un potente strumento contro la discriminazione: la sentenza che impedisce di licenziare un lavoratore solo perché “Lgbtq”. Una sigla che sta per “lesbian, gay, bisexual, transgender and questioning”, la q indica chi ritiene di avere un’identità sessuale fluida, non ancora definita.

Maggioranza favorevole

I giudici costituzionali, custodi dei valori della società americana, sono tradizionalmente conservatori. Ma in questi anni anche i più tradizionalisti si sono evidentemente adeguati all’evoluzione del costume. Tanto che a redigere la motivazione della sentenza è stato un giudice repubblicano nominato da Donald Trump: Neil Gorsuch. «Un datore di lavoro che licenzia un individuo semplicemente perché è gay o transgender» scrive Gorsuch «è in violazione della legge».
La sentenza è stata approvata a larga maggioranza, con solo tre voti contrari e sei favorevoli. Tra questi, quelli di quattro giudici di ispirazione liberal, di Gorsuch e del presidente della Suprema Corte, John Roberts.

La sentenza

Di fatto, i giudici hanno esteso anche ai lavoratori Lgbtq una forma di tutela che prima era intesa solamente nei confronti delle donne. Già dal “Civil Rights Act del 1964, la più importante di tutte le normative sui diritti civili degli americani, si parla di discriminazione “basata sul sesso”. Per molto tempo, tuttavia, l’interpretazione dominante ha voluto leggere questo divieto solo contro la disparità di trattamento tra uomini e donne. Diversi ricorsi, poi, hanno portato a una lettura più ampia, che include non solo il sesso biologico ma più genericamente l’orientamento sessuale e l’identità di genere. Ora quest’interpretazione è confermata: la discriminazione è illegale anche quando colpisce chi sul lavoro afferma la propria identità di gay, lesbica, bisessuale e transgender.

Oltre 200 aziende solidali

La sentenza è la prima sull’argomento da quando è andato in pensione il giudice Anthony Kennedy, repubblicano moderato. Autore di tutte le sentenze precedenti su questa materia, inclusa quella del 2015 sui matrimoni gay, Kennedy aspettava con trepidazione il verdetto dei colleghi. E non solo lui: oltre 200 società, infatti, si erano già convintamente schierate a favore, presentando ampia documentazione alla Corte Suprema. Tra queste ci sono Bank of America, BlackRock, Bloomberg, Estée Lauder, Levi Strauss, Walt Disney. Gli imprenditori hanno preso posizione in modo molto forte, sostenendo che lasciar passare questo genere di discriminazioni avrebbe avuto conseguenze negative non solo per i loro dipendenti, ma anche per il business e per l’economia statunitense.

Le reazioni

La sentenza, una volta pubblicata, è stata accolta da più parti con parere favorevole. Lo stesso Donald Trump, dopo aver preso formale posizione contraria, ha accettato il verdetto senza battere ciglio: «hanno deciso e rispettiamo la loro decisione». Ben più calorosa la reazione di Tim Cook, numero uno di Apple, che scrive su Twitter: «Le persone Lgbtq meritano parità di trattamento sul posto di lavoro e nella società. Questa decisione mette ulteriormente in evidenza come la legge federale tuteli il loro diritto all’equità». 

(Un commento di Tim Cook su Twitter)

Anche nel mondo dello show business i grandi nomi che hanno accolto la novità con entusiasmo non si contano. «Grandi novità» plaude Selena Gomez su Instagram, e linka un articolo del New York Times.  Ricky Martin, sempre su Instagram, pubblica una foto dove stringe una bandiera arcobaleno. Entusiasta anche Bella Thorne, che dal suo profilo annuncia «un grande passo e nella giusta direzione». 

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