La dipendente chattava sul social network con il telefonino aziendale, svelando segreti d’impresa
Una segretaria di Bari aveva installato l’applicazione Facebook sul cellulare aziendale, utilizzando il proprio profilo personale per intrattenere delle chat private, che le sono costate il posto di lavoro.
Durante un periodo di malattia, la donna aveva riconsegnato il telefono in azienda, dimenticando di disinstallare l’applicazione, o quanto meno di fare logout, continuando a intrattenere le sue conversazioni da casa attraverso altri dispositivi.
Il datore di lavoro, in possesso del telefonino, aveva potuto così visualizzare le chat private della donna, dalla cui cronologia emergeva come spesso lei chattasse durante le ore di lavoro, e soprattutto rivelasse informazioni aziendali riservate a imprese concorrenti.
Il tribunale di Bari, dopo aver concesso al datore di lavoro di utilizzare in giudizio gli screenshot dei messaggi privati della dipendente, ha ritenuto la condotta di quest’ultima così grave da giustificarne il licenziamento per giusta causaÈ il licenziamento inflitto senza preavviso a fronte di una condotta del dipendente talmente grave da non consentire la prosecuzione, neanche temporanea, del rapporto. More, avendo «leso irrimediabilmente il vincolo fiduciarioÈ una delle condizioni basilari per l’esistenza del rapporto di lavoro, consiste nel rapporto di fiducia che deve intercorrere tra lavoratore e datore e deve mantenersi intatto per tutta la durata del contratto. More con il datore di lavoro».
Le motivazioni della sentenza (n. 2.636 del 10 giugno 2019) fanno leva sul comportamento della dipendente, che oltre ad aver installato «indebitamente un profilo Facebook sul telefono aziendale» e aver impiegato tale dispositivo «per intrattenere frequenti e numerose conversazioni private durante le ore di lavoro», ha rivelato «informazioni e notizie riservate riguardanti l’impresa ad aziende concorrenti dirette», in grado, anche solo potenzialmente, di «agevolare l’attività di imprese rivali».
L’episodio evidenzia come sia ormai frequente che informazioni scambiate attraverso applicazioni di messaggistica istantanea e social network vengano usate dal datore di lavoro come prove documentali, anche quando egli non ne sia il diretto destinatario.
Inoltre, il caso riporta alla luce la questione della privacy del dipendente.
Le aziende infatti possono controllare le comunicazioni sui dispositivi aziendali e la cronologia delle esplorazioni web del lavoratore, a patto però che quest’ultimo venga prima informato sui motivi e le modalità del controllo.
La sentenza di Bari si spinge oltre, perché la segretaria non aveva ricevuto alcun avviso da parte del datore di lavoro.