Il patto di non concorrenza

(foto Shutterstock)

Definizione, requisiti, durata, limiti: tutto quanto è necessario perché il patto sia valido

QUALI SONO LE CARATTERISTICHE DEL PATTO DI NON CONCORRENZA?

Con la cessazione del rapporto di lavoro decade l’obbligo di fedeltà che il lavoratore aveva nei confronti del datore di lavoro.
Il dipendente riacquista piena libertà di concorrenza.
Nella normalità dei casi, il lavoratore cercherà un nuovo impiego nello stesso settore dove ha già maturato esperienza e capacità; motivo per il quale avrà inevitabilmente contatti con aziende concorrenti dell’impresa con cui ha concluso il rapporto.

COME PUÒ TUTELARSI IL DATORE DI LAVORO PER EVITARE QUESTA CIRCOSTANZA?

Per prevenire la fuga di segreti aziendali, una soluzione è quella di stipulare tra le parti un patto di non concorrenza (art. 2125 c.c.), prolungando, per il periodo successivo alla cessazione del rapporto di lavoro, gli obblighi di fedeltà imposti al lavoratore nel corso dello svolgimento del rapporto stesso.

Il patto di non concorrenza può essere inserito nel contratto individuale di lavoro al momento dell’assunzione oppure sottoscritto in un periodo successivo, quando il rapporto di lavoro è già iniziato o addirittura già terminato.
Il dipendente, accettando il patto, si impegna a non svolgere, una volta cessato il rapporto, attività in concorrenza con il datore di lavoro per un determinato periodo di tempo che viene fissato direttamente nel patto di non concorrenza, ma con alcuni limiti.

QUALI SONO I REQUISITI ESSENZIALI DEL PATTO?

Il patto di non concorrenza può riguardare tutti i lavoratori (non solo quelli di più alto livello) e qualsiasi attività che possa competere con quella del datore di lavoro e quindi non deve necessariamente limitarsi alle sole mansioni espletate dal lavoratore nel corso del rapporto di lavoro.

Affinché il patto di non concorrenza tra le parti sia valido:

  • deve essere stipulato per iscritto;
  • deve prevedere un compenso a favore del lavoratore;
  • deve essere contenuto entro determinati limiti di tempo, di oggetto, di luogo.

Per quanto riguarda la durata del patto di non concorrenza, questa non può essere superiore a 5 anni per i dirigenti, e a 3 anni per tutti gli altri lavoratori. Nel caso in cui sia prevista per un periodo maggiore, la durata del patto si riduce automaticamente a quella massima legale (3 o 5 anni).

Non è previsto, invece, un limite minimo di durata del rapporto perché si inneschi il patto: una volta sottoscritto, salvo accordi di segno opposto intervenuti in epoca successiva alla firma, il patto è valido e produce i suoi effetti.

Se ad esempio, all’assunzione, venisse firmato un patto che vincola il lavoratore per 12 mesi dalla cessazione, e il dipendente si dimettesse dopo 3 mesi, il patto sarà comunque valido e imporrà al datore di lavoro di pagare al dipendente il corrispettivo e al lavoratore di non agire in concorrenza per i 12 mesi successivi.

Nell’accordo tra le parti deve essere ben specificata e determinata la zona geografica e territoriale dove il patto ha valore ed è efficace. Sono nulle tutte le clausole che fanno riferimento a territori troppo vasti, ampi o generici, come ad esempio limitazioni riguardanti un intero continente (Europa): verrebbe meno per il lavoratore la possibilità di poter lavorare nuovamente in un settore e in ambiti in cui ha maturato esperienza.

Quanto al corrispettivo, la norma prevede che sia determinato dalle parti in modo da essere “congruo”, ovvero proporzionato alle limitazioni imposte dal patto (durata del divieto ed estensione territoriale) e che compensi non solo il mancato guadagno, ma anche il condizionamento della professionalità ai fini della possibile ricollocazione sul mercato.

L’erogazione dell’importo pattuito può avvenire sia dopo la cessazione del rapporto di lavoro, in un’unica soluzione o a rate, sia in costanza di rapporto di lavoro.

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