Sospensione dei pagamenti, credito dalle banche e credito d’imposta: imprese, autonomi, professionisti, chi può fare richiesta e come
I recenti decreti legge Cura Italia (18/2020) e Liquidità (23/2020) hanno introdotto misure importanti per sostenere le imprese travolte dall’emergenza coronavirus.
È stato previsto in particolare un meccanismo di garanzie statali per assicurare liquidità alle imprese colpite, e ciò sia in forma di sospensione dei pagamenti verso le banche, sia di ottenimento di credito dalle banche, sia in forma di credito d’imposta.
Vediamo di che misure si tratta.
Il decreto Cura Italia ha previsto, quale misura di sostegno della liquidità delle PMI e dei lavoratori autonomi titolari di partita IVA, la possibilità di chiedere la sospensione fino al 30 settembre 2020 dei mutui o di altri finanziamenti a rimborso rateale verso gli istituti bancari (ad esempio, il leasing).
Il beneficiario può decidere se richiedere la sospensione dell’intera rata o della sola quota capitale.
Per poter domandare la sospensione il richiedente deve essere “in bonis”, ossia non avere un’esposizione debitoria ai sensi della disciplina applicabile agli intermediari creditizi, e in particolare non deve aver accumulato ritardi superiori ai 90 giorni nel pagamento dell’esposizione debitoria bancaria.
Per usufruire del beneficio occorre farne richiesta a mezzo PEC all’istituto bancario, autocertificando, oltre alla situazione “in bonis”, la carenza di liquidità in conseguenza diretta della diffusione dell’epidemia Covid-19 e la localizzazione della sede sociale in Italia.
Distinguiamo il finanziamento a seconda che sia rivolto a piccole e medie imprese (PMI) o a grandi imprese. Oltre a quanto di seguito illustrato, si possono trovare ulteriori chiarimenti nella circolare ABI.
Le imprese con al massimo 499 dipendenti, lavoratori autonomi e professionisti possono accedere al finanziamento coperto dal Fondo Centrale di Garanzia, introdotto dal decreto Cura Italia e rimodulato dal decreto Liquidità.
Ecco cosa possono ottenere:
La garanzia è gratuita, mentre si pagano gli interessi sul finanziamento. Il prestito è a sei anni.
Il finanziamento non può superare:
Ai prestiti coperti dalla garanzia SACE (controllata di Cassa Depositi e Prestiti), concedibili fino al 31 dicembre 2020, hanno accesso i titolari di partita IVA e imprese di qualsiasi dimensione. Le PMI con al massimo 250 dipendenti (anche dei settori agricoltura e pesca), devono però aver esaurito la capacità di accesso al Fondo di garanzia.
Dal momento che la finalità del finanziamento è consentire all’impresa di ripartire, salvaguardando i livelli occupazionali, e quindi la ripresa dell’economia italiana, sono imposti precisi impegni. In particolare, l’impresa che chiede il prestito si impegna:
Per quanto riguarda il merito creditizio, l’azienda che fa la richiesta non deve essere classificata nella categoria delle imprese in difficoltà alla data del 31 dicembre 2019 e non deve avere esposizioni deteriorate al 29 febbraio 2020.
La garanzia copre il 90% – 80% – 70% in base alle soglie di fatturato e al numero dei dipendenti delle imprese.
I prestiti garantiti da SACE sono a sei anni, con possibilità di preammortamento fino a 24 mesi (due anni). Ciò significa che nei primi due anni è possibile pagare solo gli interessi, e poi il capitale nei successivi quattro.
L’importo massimo del prestito è pari al maggiore dei valori tra il 25% del fatturato e il doppio del costo del personale.
Ai prestiti coperti da SACE sono applicati tassi di interesse fissati per legge; a differenza dei prestiti garantiti dal Fondo centrale, ci sono commissioni sulla garanzia, il cui costo sale in base alla durata del piano di ammortamento.
La procedura è semplificata, con la sola istruttoria di Banca e SACE sulla base del bilancio per le imprese fino a 5mila dipendenti e fatturato fino a 1,5 miliardi, che hanno diritto alla garanzia fino al 90%.
Le imprese più grandi, per le quali il finanziamento è coperto all’80 o al 70%, devono rispettare ulteriori requisiti.
Come forma di sgravio per le imprese, sono ammesse al credito d’imposta le spese di sanificazione di ambienti e strumenti di lavoro, comprese quelle relative all’acquisto di dispositivi di protezione individuale (come mascherine, guanti, visiere e occhiali protettivi, tute di protezione e calzari), o che garantiscono la distanza di sicurezza interpersonale (come barriere e pannelli protettivi, detergenti mani e disinfettanti).
Il credito d’imposta è attribuito a ciascun beneficiario, fino all’importo massimo di 20 mila euro, nella misura del 50% delle spese sostenute fino al 31 dicembre 2020, e comunque nel limite di spesa fissato in 50 milioni di euro.
Il decreto Cura Italia riconosce un credito d’imposta del 60% dell’ammontare del canone di locazione del mese di marzo per gli immobili che fanno parte della categoria catastale C/1 (negozi e botteghe), indipendentemente dalla metratura dei locali.
Lo sgravio è destinato ad agevolare unicamente gli imprenditori la cui attività non ha potuto proseguire nel periodo emergenziale in quanto non rientrante nella lista dei codici ATECO delle attività che potevano rimanere aperte, come per esempio alimentari, farmacie, ferramenta, giornali, pompe funebri e attività connesse.
Questo bonus è automatico, non occorre presentare alcuna domanda, e si concretizza attraverso la compensazione dell’importo nel modello F24 da presentare esclusivamente attraverso i servizi telematici messi a disposizione dall’Agenzia delle Entrate, avvalendosi dell’apposito codice tributo “6914”, utilizzabile a dal 25 marzo 2020, denominato “Credito d’imposta canoni di locazione botteghe e negozi – articolo 65 del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18”.