Favorire la flessibilità per venire incontro alle esigenze di bilanciamento tra vita privata e lavorativa dei propri dipendenti
di Gianluca Spolverato e Marta Manti
Con riferimento al tema chiave dei tempi e luoghi di lavoro, la flessibilità rappresenta un asset fondamentale verso la crescente esigenza di bilanciamento tra vita privata e professionale da parte dei lavoratori. In questo senso, possono essere attuate diverse forme di flessibilità che possono essere riassunte in tre macro-tipologie:
Alcuni esempi di forme di flessibilità legate all’orario di lavoro e all’organizzazione del lavoro sono:
Si può parlare, invece, di forme di flessibilità legate a ferie, permessi e congedi per:
Infine, il lavoro agile (o smart working) è considerata la forma di flessibilità per eccellenza. Lo smart working è una modalità di gestione del proprio lavoro basata sui concetti di fiducia, flessibilità e raggiungimento degli obiettivi.
Rispetto al controllo a vista delle gerarchie tradizionali, è un sistema che si basa su una grande responsabilizzazione dei lavoratori nei confronti delle proprie attività e nei confronti degli obiettivi aziendali garantendo una maggiore flessibilità con riferimento al luogo e all’orario di lavoro.
Un aspetto fondamentale affinché lo smart working sia una vera politica di flessibilità e di bilanciamento tra vita personale e professionale, è data dalla capacità di organizzare il proprio orario di lavoro e le proprie attività in autonomia e dal rispetto del cosiddetto diritto alla disconnessione.
Solo in questo modo lo smart working può considerarsi uno strumento utile a venire incontro alle esigenze di bilanciamento tra vita privata e lavorativa dei dipendenti e non diventare invece una modalità in cui un lavoratore percepisce di essere sempre connesso e, dunque, di non avere più alcun confine tra vita privata e professionale.
Con riferimento all’orario di lavoro ideale, gli studi insegnano che il corpo umano ha due picchi di produttività durante la giornata. Il primo avviene nella tarda mattinata e raggiunge un massimo di produttività (sul piano fisico) fino alle 17-18. In sintesi, si potrebbe riassumere che il corpo è fatto per pensare al mattino, per svolgere compiti che richiedono poca concentrazione nel primo pomeriggio e compiti fisici nel tardo pomeriggio. Ovviamente questi ritmi variano a seconda della persona, delle ore di sonno o del ritmo alimentare. Ciò non toglie che si tratta di teorie che costituiscono un buon indicatore per ripensare alle politiche aziendali in materia di orario di lavoro e flessibilità.
La scienza inoltre concorda generalmente sul fatto che l’orario di lavoro giornaliero ideale debba essere di circa sei ore e più concentrato al mattino. In questo modo, i lavoratori potrebbero sfruttare le ore in cui sono produttivi e concentrare nel pomeriggio altre attività quotidiane, comprese quelle sociali e/o sportive.