Il primo risultato del nuovo rapporto tra spazio e tempo nell’ambito del lavoro è costituito dalla figura dei nomadi digitali
L’esperienza degli anni della pandemia ci ha portato a familiarizzare con una tipologia di lavoratore che, pur esistendo già prima, costituisce oggi a livello mondiale una parte rilevante del mondo del lavoro.
Sono i nomadi digitali, in pratica quei lavoratori altamente qualificati che svolgono la loro attività quasi esclusivamente da remoto, senza una precisa localizzazione territoriale. Anzi, spesso in continuo movimento da un paese all’altro.
L’Italia, così come altri paesi, ha iniziato a regolare nel 2022 l’ingresso dai paesi extra-UE di questi lavoratori. La disciplina è stata completata nel 2024 con l’emanazione del decreto ministeriale 29 febbraio 2024, che disciplina il rilascio di questo particolare permesso di soggiorno.
Al di là delle norme, tuttavia, le implicazioni organizzative in questo campo costituiscono oggi un nuovo ambito di indagine per il lavoro che non può essere trascurato.
Il nomade digitale è una persona altamente qualificata, in prevalenza autonoma – ma oggi anche subordinata – italiana o straniera, che è in grado di svolgere la propria attività di lavoro in piena autonomia da un luogo che non coincida necessariamente né con la propria residenza abituale, né tantomeno con il proprio paese di origine.
In prevalenza, i nomadi digitali sono freelance, imprenditori, professionisti in momenti di transizione della carriera che per uno o più periodi della loro vita scelgono un “work & travel lifestyle”, sfruttando le possibilità del lavoro a distanza e la flessibilità di orario nello svolgere le loro mansioni, con l’obiettivo di unire sviluppo professionale, crescita e passioni personali.
Molte sono le aziende che, negli ultimi anni, hanno aperto questa possibilità anche a chi ha un contratto di lavoro subordinato.
Inizialmente per consentire loro di rientrare nei paesi di origine durante la pandemia (come Spotify), poi attraverso l’avvio di progetti di lavoro da remoto, dando la possibilità di scegliere di lavorare a distanza per periodi definiti, anche unendo le proprie ferie e scegliendo pertanto soggiorni anche prolungati in luoghi di villeggiatura come le città d’arte, i piccoli borghi, le isole.
In Italia abbondano i luoghi che consentono questa particolare forma di conciliazione vita-lavoro, e la pagina dedicata del blog Digital Nomads Italy ne è la prova. Mentre sono fiorite in questi anni anche le piattaforme dedicate: Remote Year, Unsettled, Nomad Cruise per citarne alcune.
Tra le sperimentazioni, Airbnb ha comunicato ai propri dipendenti, quale innovazione del proprio modello organizzativo, la possibilità di lavorare da 170 paesi nel mondo per un periodo massimo di 90 giorni nell’arco dell’anno.
Il passaggio da pochi casi e limitate sperimentazioni a un fenomeno su larga scala è stato davvero molto breve. Si stima che nel mondo i nomadi digitali siano intorno ai 35 milioni e che siano in aumento.
Se all’inizio la finalità era per lo più organizzativa, per dare continuità al business compatibilmente con le ridotte possibilità di spostamento, con il tempo è divenuto un vero e proprio stile di vita intergenerazionale, come ci dice anche l’Associazione Nazionale Nomadi Digitali.
Alla creatività aziendale si è quindi unita la fantasia dei governi e l’innovazione da parte delle amministrazioni locali. Paesi europei come Grecia, Malta, Spagna o Portogallo, seguiti poi dai paesi del Nord Europa, sono stati tra i primi a intercettare un bisogno che potesse essere anche l’occasione per favorire la ripresa della mobilità delle persone a livello internazionale e il rilancio del turismo, ancorché in parte lavorativo.
Non a caso, fuori dall’Europa, paesi turistici come Antigua e Barbados hanno fatto altrettanto, incentivando con una legislazione specifica l’ingresso nel paese per lavoro, abbinato a un soggiorno più o meno turistico. E l’Italia?
In Italia, complice anche la grande diffusione territoriale da nord a sud di piccole città a misura d’uomo, dove non solo è migliore la qualità della vita, ma i prezzi degli immobili sono più bassi, si è cercato di incentivare l’ingresso di nuovi residenti, più agevole certamente nelle località che godono di migliori infrastrutture e di servizi, per la relativa vicinanza alle grandi città.
Ma si è anche provveduto ad avviare progetti di rilancio di luoghi più isolati, attraverso programmi locali, anche di ripopolamento, come nell’Appennino Tosco-Emiliano e nel sud. Quindi si è passati a progetti regionali come il progetto avviato dal Trentino Alto Adige proprio con Airbnb o il progetto del Piemonte di Holiday working.
In seguito, man mano che si andava consolidando il modello del lavoro da remoto, sono stati affrontati progetti più specifici che coinvolgono le molte importanti città d’arte come Firenze oppure come Venezia con la piattaforma Venywhere. Ma c’è di più.
Il legislatore ha deciso nel 2022 di introdurre uno speciale permesso di lavoro in favore dei nomadi digitali favorendone l’ingresso in Italia per lavoro da paesi non comunitari.
La norma – completata dal suo decreto attuativo – prevede che i lavoratori altamente qualificati in grado di lavorare da remoto, sfruttando la tecnologia, i quali per un determinato periodo di tempo (massimo un anno) decidano di lavorare dall’Italia – in proprio oppure per un datore di lavoro anche non residente nel territorio dello Stato italiano – possono fare domanda d’ingresso nel nostro paese al di fuori delle quote, senza nulla osta e con il rilascio del solo visto d’ingresso.
Condizione per il rilascio del visto e per il soggiorno in Italia è la disponibilità di un’assicurazione sanitaria a copertura di tutti i rischi nel territorio nazionale e il rispetto delle disposizioni di carattere fiscale e contributivo vigenti nell’ordinamento nazionale.
Quest’ultimo aspetto è di particolare rilevanza nella gestione di questi lavoratori da parte di datori di lavoro esteri che non abbiano in Italia propri uffici di rappresentanza, considerando che l’ingresso in Italia per lavoro è soggetto a precisi obblighi di natura contrattuale, fiscale e contributiva.
Si tratta di una importante disciplina che sottolinea l’apertura dell’ordinamento giuridico verso questa forma di flessibilità che, tra l’altro, consente l’ingresso anche al familiare al seguito.
Si affianca a tale disciplina anche l’Accordo valido a partire dal 1° gennaio 2024 – Framework Agreement on the application of Article 16 (1) of Reg. (EC) No. 883/2004 in cases of habitual cross-border telework – che deroga a specifiche condizioni in caso di telelavoro transfrontaliero alla disciplina previdenziale normalmente vigente in ambito comunitario (art. 13, Reg. n. 883/2004), consentendo di mantenere la contribuzione previdenziale nel paese in cui ha sede il datore di lavoro entro il limite del 50% dell’orario di lavoro per le attività transfrontaliere di telelavoro.
Sono entrambi esempi di rilevante innovazione organizzativa che, unitamente alle sperimentazioni della settimana corta danno la misura del modo per intendere, interpretare e rendere effettivi, anche in termini di nuovi stili di vita, i cambiamenti in atto nel modo di lavorare.
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