La qualità del lavoro è fondamentale per la costruzione dei nuovi modelli organizzativi. In che termini? E con quali obiettivi?
Cosa possiamo offrire alle nuove generazioni?
La domanda non è retorica. La costante e ricorrente narrazione – generalmente negativa – sul futuro dei giovani nel nostro paese deve partire da una premessa fondamentale. Siamo consapevoli di quello che possiamo realmente offrire non solo in termini di occupazione ma soprattutto in termini di un lavoro di qualità?
Una ricerca condotta da INAPP (Istituto Nazionale per l’analisi delle Politiche Pubbliche) fornisce alcuni importanti spunti di riflessione sulla dimensione qualitativa del lavoro. E non solo per i giovani. Si tratta della quinta indagine sulla “Qualità del lavoro” realizzata INAPP coinvolgendo oltre 15mila occupati (sopra i 17 anni di età) e 5.000 imprese.
Cinque le dimensioni attraverso le quali viene misurata la qualità del lavoro:
Se in via generale questi parametri costituiscono per ciascuno di noi il presupposto per poter valutare il proprio lavoro, per le nuove generazioni oggi diventano strumenti essenziali per valutare l’attrattività o meno di un determinato lavoro.
Perché, per la generazione Z tre fattori sono divenuti irrinunciabili:
Partiamo, allora proprio dalla dimensione economica del lavoro. Nel dibattito sempre più insistente su salario minimo e reddito di cittadinanza, la possibilità che il proprio lavoro venga riconosciuto e giustamente valorizzato in termini economici è un fattore essenziale per consentire alle nuove generazioni di affrancarsi velocemente dalla famiglia, iniziando a costruire il proprio futuro.
Non ha alcun significato interrogarsi sul futuro demografico dell’Italia, se non si ha ben presente che senza i mezzi necessari è concretamente impossibile costruire non solo una propria famiglia ma anche semplicemente una propria autonoma identità professionale.
E le nuove generazioni hanno desiderio di affermazione e di autonomia né più né meno di quelle che le hanno precedute e – nonostante la continua narrazione negativa – non vogliono continuare a vivere sulla ricchezza accumulata dalle generazioni precedenti.
Diventa così essenziale valutare l’incidenza che anche la dimensione dell’autonomia ha sulla qualità del lavoro. Quanto maggiore è il grado di autonomia individuale nella gestione e realizzazione degli obiettivi, tanto migliore sarà la qualità del lavoro in sé e del prodotto finito.
Che sia il risultato di un lavoro individuale oppure il risultato di un lavoro di gruppo.
Significa comprendere come la partecipazione alla formulazione e realizzazione degli obiettivi si configuri come lo strumento per accompagnare l’evoluzione dei modelli di organizzazione del lavoro che le nuove generazioni portano ogni giorno sul lavoro.
Purché gli si dia l’occasione per fare emergere le loro qualità individuali attraverso la capacità di governare la terza dimensione, quella della complessità.
La dimensione della complessità si riferisce infatti alla capacità di coltivare e fare crescere all’interno delle organizzazioni creatività, innovazione e cooperazione, attraverso la possibilità di trovare soluzioni via via diverse al crescere dell’esperienza che in ciascun settore si può costruire solo con il lavoro.
Rapportando questo parametro alla complessità delle moderne organizzazioni produttive, amplificata dalla tecnologia, è proprio sui giovani che si deve puntare per accrescere quelle doti di resilienza necessarie a garantire che la complessità si faccia esperienza costruttiva, non solo in termini di crescita ma anche in termini di comportamento e well-being.
E questo è il campo della quarta dimensione, quella dell’ergonomia che corrisponde, secondo la ricerca ai bisogni minimi di benessere psicofisico, ricercato peraltro dalle nuove come dalle vecchie generazioni. Ma oggi particolarmente essenziale per le nuove generazioni soprattutto dopo l’esperienza pandemica.
La qualità del lavoro si misura in termini di ergonomia quando vi è attenzione alla persona a 360°. Quando non si guarda solo alla postazione di lavoro, ma anche alla tossicità o meno dell’ambiente di lavoro non tanto in termini di salute, sicurezza e ambiente quanto piuttosto in termini di comportamenti e bisogni vitali.
Perché l’attenzione al posto fisico che le persone occupano all’interno dell’azienda deve essere accompagnata anche dall’attenzione ai bisogni che esse esprimono attraverso la loro individualità.
E così arriviamo alla quinta dimensione, quella del controllo. Perché se le aziende sono fatte di persone, le persone devono poter avere anche il controllo delle condizioni generali del proprio lavoro, in termini organizzativi, in termini economici e in termini di sviluppo e di crescita.
Secondo l’indagine INAPP, sono proprio la dimensione economica, quella ergonomica e quella del controllo a risultare più carenti ai fini della valutazione della qualità del lavoro dei giovani, per le difficoltà strutturali legate all’ingresso al lavoro, all’accesso a retribuzioni sufficienti e alla qualità della vita all’interno delle organizzazioni.
È arrivato il momento di prenderne coscienza e invertire la rotta.
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