L’equità risiede nei comportamenti

Equità sul lavoro
(foto Shutterstock)

Parlare oggi di equità quando si parla di lavoro significa in primo luogo assumersi delle responsabilità: in che termini?

Equità e consapevolezza dell’organizzazione

Vorrei tornare sul concetto di equità, già a più riprese trattato nell’ambito di questa rubrica.

Non è più accettabile che esistano posti di lavoro nei quali equità e adozione di comportamenti virtuosi non siano fatti propri con piena consapevolezza dall’intera organizzazione, influenzando tutti i livelli e tutti i ruoli in termini di comunicazione e di empatia, di condivisione e di scopo, di benessere, di salute, di parità e non discriminazione.

L’equità, da tema culturale legato in primo luogo al contrasto alla disparità di genere, diventa oggi tema organizzativo. Un presupposto fondamentale della moderna organizzazione del lavoro nell’era post-industriale.

Equità e non uguaglianza

Riprendiamo allora i concetti di uguaglianza (o equality) ed equità (equity). Uguaglianza significa offrire ad esempio lo stesso compenso a parità di posizione e risultati, mentre l’equità – che nei sistemi di common law è “la giustizia del caso singolo”  consente a ciascuno – a parità di mezzi, condizioni e contesto di riferimento – di raggiungere il medesimo obiettivo (ad esempio in termini di posizione, di leadership, di livello retributivo) pur in presenza esigenze e caratteristiche individuali differenti. 

Partiamo dal divario retributivo di genere

Per capire davvero il livello di equità di un paese va indagato in primo luogo il cosiddetto divario retributivo di genere, dato che prende in esame la differenza tra i compensi percepiti da donne e uomini.

Il divario, o differenziale, retributivo di genere – si legge nel report del Parlamento europeo pubblicato ad aprile 2023 – è la differenza tra i compensi orari lordi di uomini

e donne.

Il divario retributivo di genere registrato nel 2021 nei paesi della UE è del 12,7%.  

Questo dato tiene conto di alcuni parametri che nelle stime influenzano il risultato finale e determinano, in quanto cause strutturali, la posizione di svantaggio delle donne in termini di disuguaglianza

Tra queste cause ci sono ad esempio:

  • il lavoro part-time (le donne svolgono molte ore di lavoro non retribuito);
  • le scelte professionali influenzate dalle responsabilità familiari;
  • la presenza delle donne in settori a bassa retribuzione;
  • la scarsezza di dirigenti donna e, quando presenti, pagate meno degli uomini;
  • il maggiore rischio di disoccupazione.

Un divario che aumenta con l’età

Non solo, Il divario retributivo di genere aumenta con l’età, nel corso della vita lavorativa e in stretta correlazione con il crescere degli impegni familiari. 

A inizio carriera il divario si fa sentire meno perché le retribuzioni sono oggettivamente più basse per entrambi i sessi e perché – in teoria – donne e uomini possono avere a disposizione le stesse opportunità. 

Man mano che si va avanti con l’età e con le responsabilità familiari aumenta sempre di più, anche per effetto del rischio disoccupazione che diviene reale nel momento in cui diviene impossibile seguire adeguatamente lavoro e famiglia. 

Il gap influisce sul futuro pensionistico

È una situazione tipica di alcuni paesi come l’Italia, in cui si continua a far pesare in prevalenza sulle donne il lavoro – non retribuito – di cura.

Con sempre meno denaro da risparmiare e investire, le cause del divario si accumulano, con la conseguenza che le donne sono a maggior rischio di povertà ed esclusione sociale in età avanzata, seppure possano contare su doti di maggiore responsabilità e prudenza nella gestione finanziaria dei propri investimenti.

Nel 2020, ad esempio, il divario pensionistico di genere era pari a oltre il 28% nei paesi della UE.

È solo un problema culturale?

Il problema è quindi in primo luogo di natura culturale. Ci sono paesi, come l’Italia, che per collocazione geografica presentano maggiori problemi di disparità – non solo salariale – meno presenti in altri paesi europei, ad esempio quelli del Nord Europa.

Nella classifica del 2022 l’Italia si colloca al 63° posto su 146 Paesi monitorati dal Global Gender Gap Index, registrando un miglioramento di solo 0,001 punti (il punteggio complessivo raggiunge il valore 0,720 da 0,721 dell’anno precedente). 

L’Italia continua a occupare la stessa posizione del 2021, dopo Uganda (61) e Zambia (62). A livello europeo l’Italia è 25^ su 35paesi (Report diffuso da Assolombarda).

L’assunzione di responsabilità a tutti i livelli

Non c’è solo una ragione culturale. È necessario agire sui comportamenti. Tanto che l’assunzione di responsabilità su questi temi a livello istituzionale ha favorito l’approvazione di nuove regole, valide per tutti i paesi dell’Unione per contrastare in modo più significativo anche i comportamenti che alimentano la disparità retributiva, di genere ma anche tra generazioni. 

Il 24 aprile 2023 sono state adottate dal Consiglio dell’Unione Europea nuove norme in materia di trasparenza salariale che prescindono dal genere. La struttura della retribuzione dovrà essere basata infatti su criteri neutrali rispetto al genere, sia nel settore privato che in quello pubblico. 

Inoltre, dovranno essere introdotti dei sistemi di valutazione o classificazione professionale neutri, così come dovranno esserlo gli avvisi di posto vacante e la denominazione delle posizioni lavorative.

Equità retributiva e buone prassi

Il divario retributivo di genere da fattore principale è quindi diventato uno dei componenti del concetto – molto più ampio – di equità

La vera sfida, in termini di equità è proprio quella del passaggio da mera dichiarazione di principio ad assunzione di quelle responsabilità necessarie per garantire a tutti – a parità di condizioni di partenza – le stesse opportunità

Se il divario retributivo di genere influisce sulla crescita di un paese – si stima che una riduzione di un punto percentuale del divario retributivo comporterebbe un aumento del PIL dello 0,1% (dati Parlamento europeo) – l’adozione di scelte organizzative responsabili in termini di equità (dall’assunzione ai processi di valutazione) può favorire la transizione da un capitalismo incentrato sull’individualismo sfrenato a uno caratterizzato invece dalla centralità dell’individuo.

È arrivato il momento di assumersi delle responsabilità e di valutare in quali ambiti dell’organizzazione è doveroso intervenire per ridefinire regole e parametri di comportamento.

 

Leggi anche:

Occupazione e disparità di genere: la strada è ancora lunga

Barilla: saggezza e capacità di meravigliarsi per una leadership migliore

Altro in “Valore Aggiunto”