Il lavoro stanca? Oppure siamo noi stanchi di un certo modo di lavorare?

Il lavoro stanca? Oppure siamo noi che siamo stanchi di un certo modo di lavorare?
(foto Shutterstock)

Chiediamoci quale posto riserviamo oggi al lavoro. Creare ambienti di lavoro identitari è la ricetta per far sì che il lavoro non sia fatica

Il lavoro stanca? Se facciamo questa domanda all’operaio di un’acciaieria, a un piastrellista, a un addetto alla sicurezza in un cantiere, la risposta viene da sé. Diventa un po’ più difficile rispondere quando si ha in mente un lavoro intellettuale, forse per il pregiudizio insito nello stereotipo che immagina chi sia impegnato in un lavoro e in una professione intellettuali dedito a una vita sedentaria, tranquilla e più rilassata, lontano dal lavoro “vero”, dalla produzione intesa in senso stretto.

Ogni lavoro è impegno e fatica

Eppure è proprio il lavoro intellettuale quello che è cresciuto di più negli ultimi 50 anni. Ma allora perché, se si rivolge ai più questa domanda, ci si sente rispondere che sì, il lavoro stanca, è fatica, a volte porta insoddisfazione, stress, frustrazione, rare volte piacere e passione.

In più, sembra che questa sensazione si sia accentuata negli ultimi anni, proprio perché la costrizione di vivere una situazione nuova, che ha determinato tante forme di superlavoro – tra le mura domestiche, nella sanità, nella distribuzione e nella logistica – sembra avere distrutto e svilito il desiderio di fare del lavoro la propria identità e l’orgoglio di costruire qualcosa per il futuro.

Tanto da avere indotto a ritenere emergente una nuova tendenza, quella del “quiet quitting”, ossia del “lavorare il giusto”, propriamente non fare più del necessario in modo da evitare lo stress indotto dall’eccesso di lavoro.

Ma quale posto ha il lavoro oggi?

In realtà, alcuni esperti hanno definito il “quiet quitting” come un falso fenomeno, perché di fatto non coerente con le reali aspirazioni delle nuove generazioni, che continuano a porre il lavoro nella giusta scala dei valori, ma che desiderano anche ricercare il giusto equilibrio, non tanto tra vita e lavoro ma semplicemente, di vita.

Lavorare “il giusto” finisce così per interpretare il mutato approccio al lavoro che segue la rivoluzione tecnologica in atto, in cui non importa più il dove e il quando si lavora ma il come, il perché e soprattutto con quale obiettivo.

In definitiva, i parametri concreti di un approccio che metta realmente al centro la persona nel contesto di organizzazioni di cui ci si senta parte – non solo a parole–- in una logica di condivisione e di scopo. Se non si ha ben chiaro questo obiettivo, l’affermazione di voler mettere la persona al centro perde di significato e resta vuota retorica.

Siamo sicuri che le nuove generazioni siano prive di rotta?

Un utile parametro per definire concretamente questo obiettivo lo si vede proprio nel mutato approccio al lavoro che sembra guidare le nuove generazioni: i Millennial, che appaiono spaesati e scoraggiati da eventi che li hanno distolti dalla direzione impressa loro dalle generazioni precedenti, e la Generazione Z, che sembra essere disorientata e priva di rotta.

Appaiono, Sembrano. Ma non lo sono, come ci dicono i dati di una ricerca Ipsos – Unioncamere che fotografa certamente timori, incertezze, fragilità, ma anche aspirazioni e potenzialità delle nuove generazioni, che poggiano tutte su un nuovo modo di vedere il lavoro e il futuro.

Una visione, la loro, che anticipa i cambiamenti in atto e che pone proprio questa generazione nella prospettiva di guidare realmente il cambiamento nei modelli di organizzazione del lavoro che si stanno affermando. Perché sono loro i primi a esserne coinvolti.

I pilastri del lavoro di oggi come di ieri

Emergono così anche per le nuove generazioni i quattro pilastri del lavoro: retribuzione (giusta), stabilità (sperata), possibilità di fare carriera (con equità) e, soprattutto, autonomia. Fattori considerati essenziali per realizzarsi come individui, purché – e qui sta il nuovo – in un contesto che non sia autoritario, che valorizzi il tempo per sé ma anche il rapporto con i colleghi. Che valorizzi infine capacità, talento e potenziale nel quadro di stili di leadership che diano spazio a flessibilità, dialogo e feedback.

Il significato di “mettere la persona al centro”

È questo il vero significato di “mettere la persona al centro”. Significa valorizzare la persona perché espressione di un nuovo modo di intendere la cultura organizzativa, al fine di accompagnare le trasformazioni in atto con la piena consapevolezza di tutti i fattori che ruotano attorno a questo principio guida: valori individuali, crescita, competenze tecniche e competenze umane, innovazione, creatività, senso di appartenenza, benessere individuale e collettivo, responsabilità e reciprocità.

Il ruolo dell’engagement

In questo contesto assumono allora valore determinante i concetti di engagement e di employer branding.

Con l’engagement si promuove dall’interno la costruzione e sperimentazione di un sistema di valori condiviso che carichi di significato il lavoro che le persone svolgono insieme. E questo è vero se vi è reale condivisione di scopo.

L’employer branding indica invece il passaggio successivo, ossia l’associazione tra quell’insieme di valori e il proprio marchio, ossia la propria identità collettiva. Valori riferiti al lavoro, perché finalizzati ad attrarre talenti e/o a trattenere dipendenti e collaboratori, ma che si legano a quello che in via generale l’azienda racconta di sé.

A quello che comunica a tutti i propri stakeholder, interni ed esterni. Può pertanto riguardare aspetti regolatori del rapporto di lavoro (orario lavorativo, lavoro a distanza, benefit, welfare, ecc.) oppure, in modo più significativo, aspetti più intangibili collegati al benessere, al prestigio, al valore che viene dato alla prospettiva di lavorare in quella determinata azienda. Significa promuovere il lavoro all’interno di quell’azienda come se fosse un prodotto, rendendolo attrattivo e desiderabile.

Valori individuali che divengono valori collettivi

Il lavoro stanca, certamente. Ma trovare gli strumenti per imprimere il giusto equilibrio a vita e lavoro è la chiave per costruire modelli organizzativi nei quali gli individui si nutrano della consapevolezza di far parte di un contesto nel quale identità e valori condivisi possono rendere preziosa ogni singola ora impiegata nel proprio lavoro.

Perché solo quando i valori individuali divengono anche valori dell’organizzazione, possono nascere le occasioni per trovare ogni giorno, con meno fatica, nuovi stimoli e nuova motivazione.

 

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