La fase emergenziale è terminata. Noi siamo di nuovo al lavoro. Ma tutto è diverso da prima
L’esperienza della pandemia e l’accelerazione tecnologica sono due fattori disruptive. La pandemia ci ha portato nuove consapevolezze.
Prima verità: non c’è un tempo di vita e un tempo di lavoro. Siamo noi quando lavoriamo e noi quando siamo in famiglia, con gli amici, altrove. Questi due tempi devono ritrovarsi in armonia, e si può lavorare stando altrove e dedicarsi ad altro quando si sta al lavoro. Dobbiamo immaginare e organizzare vite fluide, in un’alternanza di tempi e significati.
Seconda verità: senza lavoro ci siamo persi, e nel lavoro abbiamo trovato significato. Qualcuno si è sentito più essenziale, qualcuno ha capito che il lavoro che faceva non aveva una direzione e un senso, qualcuno ha iniziato a chiedersi perché. E tutti abbiamo detto «mai più» a questo o quello.
Tutti, però, abbiamo bene a mente quello che non vorremmo più, un prima e un dopo. Dobbiamo imparare a combinare le ambizioni di ciascuno con un forte senso di scopo e portare i sentimenti e le emozioni dentro il lavoro.
Ci sono tre grandi sfide che tutte le aziende devono affrontare.
La prima: capire quali sono le nuove competenze che servono per migliorare il lavoro: culturali, tecniche, organizzative. Su queste dobbiamo investire fortemente, con una prospettiva di breve-medio-lungo periodo.
La seconda: costruire relazioni identitarie con e tra le persone che lavorano. Questo ci aiuterà a trattenere e attrarre le persone giuste (che non sono necessariamente i migliori).
La terza: integrare, imparare a combinare, persone di generazioni diverse, di competenze diverse, di storie e vite lavorative diverse, in un’alternanza di spinta e consolidamento di nuovi modelli.
Da una nuova consapevolezza, che si acquisisce facendoci delle domande e interrogandoci sui temi chiave del lavoro che cambia, che sono cinque:
Poi ci sono tre parole chiave che segnano la direzione che prenderà il lavoro nel futuro che è già tra noi: green, healthy, and fair. Sostenibilità, salute e star bene, correttezza, inclusione e valorizzazione delle diversità.
Ogni organizzazione è chiamata a rispondere a tre domande:
La dimensione dell’importanza, incrociata con quella della maturità, ci dice cosa è importante e urgente, e ci aiuta a definire un piano di breve e medio periodo, per portare l’organizzazione là dove vorremmo che fosse.
Cosa rischiamo se non faremo niente? Rischiamo di perdere le persone migliori e di essere irrilevanti nel nuovo mercato del lavoro, che in una fase di forte espansione si concentrerà, più che sul lato della domanda di lavoro, su quello dell’offerta di lavoro.
La retorica de «la persona al centro» e del «people first» è diventata insopportabile.
Cosa significa oggi prendersi cura delle persone che lavorano? Proviamo a dare delle risposte che diano il senso di una direzione possibile. E chiediamoci cosa possiamo e vogliamo fare.
Significa, prima di tutto, costruire spazi di lavoro accoglienti, che consentano alle persone di lavorare bene, potendo all’occorrenza avere spazi personali per i loro bisogni. Ma anche:
Sì, è vero, poi c’è il lavoro, i risultati, gli obiettivi, il margine, eccetera eccetera.
Ma se non abbiamo persone che amano quello che fanno e che stanno bene quando sono al lavoro, non andremo mai molto lontano.
Solo un’azienda concepita come una comunità costruita sulla fiducia e il rispetto dei lavoratori può puntare alle vette più elevate.
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