Reskilling e upskilling, due fattori indispensabili per accompagnare le persone nel lavoro che cambia, e guidare il ricambio generazionale
di Gianluca Spolverato
Nell’epoca del lavoro che cambia in Italia l’età media delle persone che lavorano è di 46,3 anni, e in un contesto lavorativo in crescente trasformazione le aziende hanno la necessità di investire nella formazione continua e nell’aggiornamento delle risorse umane. Il lavoro è un ambito fondamentale della nostra vita e l’acquisizione di nuove conoscenze così come il loro mantenimento nel tempo al passo con le sfide richieste dalla tecnologia permette alle persone di svolgere il proprio lavoro con passione e coinvolgimento, acquisendo quella sicurezza che solo l’esperienza e la consapevolezza delle proprie capacità e competenze assicurano nel tempo.
È questo che, fondamentalmente, favorisce all’interno delle organizzazioni anche
l’engagement delle persone, sia dei giovani, sia dei più anziani. Ed è questo che sta alla base delle azioni volte a gestire ed a garantire che l’adozione di processi innovativi – ad esempio fondati sull’AI – favorisca non solo l’attrazione dei talenti ma anche la salvaguardia delle competenze dei lavoratori più anziani consentendo l’integrazione di competenze ed esperienze differenti e il ricambio generazionale.
Il Future of job report 2020 del World Economic Forum presentava già, in piena pandemia, un quadro decisamente interessante delle nuove competenze e dei nuovi lavori. Nel rapporto, le tre famiglie di competenze più richieste nel futuro, erano indicate sia in termini di competenze tecnologiche, sia in termini di analisi critica dei dati, e di problem solving. Delle 15 competenze top, la maggior parte riguardavano l’ambito delle soft skills. Tra le competenze emergenti in Italia, al primo posto vi erano creatività, originalità e iniziativa.
L’accelerazione e lo sviluppo dei sistemi di Intelligenza Artificiale che si è registrato negli ultimi anni – senza necessariamente fare riferimento anche a strumenti di tipo generativo come ChatGpt – costituisce solo la punta dell’iceberg di un processo che è destinato a crescere. Il numero di posti di lavoro che a livello globale sono potenzialmente messi a rischio dai sistemi di AI è stimata nel 30% entro il 2030 (PwC’s Global Artificial Intelligence Study: Exploiting the AI Revolution). Ma è altrettanto vero che nasceranno nuovi lavori e nuovi mestieri, come sta già accadendo e come è di fatto avvenuto con internet negli ultimi trent’anni. Inoltre, se è vero che tutti gli ambiti del lavoro e delle professioni sono esposti all’impatto dell’AI, è anche vero che affidando ai sistemi di AI le attività più ripetitive che presuppongono l’analisi di una enorme quantità di dati è possibile supportare attività umane più complesse, alimentando creatività e innovazione. Già oggi è possibile concentrare molte attività lavorative nella valorizzare di quelle abilità e qualità tipicamente umane – le soft skills – fondamentali per comprendere, contestualizzare e indirizzare responsabilmente l’evoluzione stessa dell’AI.
Il mondo sta cambiando e il lavoro necessita di nuove competenze, in particolare quelle digitali. È necessario formare giovani e anziani per questa transizione ma è anche necessario riqualificare i lavoratori in modo che siano in grado di adeguarsi alle nuove esigenze delle aziende. Il piano di riqualificazione delle persone, o reskilling, può essere considerato come un’azione momentanea, ben circoscritta nel tempo, con obiettivi chiari e precisi.
Diversamente, il piano di aggiornamento e formazione continua, o upskilling, rappresenta una filosofia aziendale: l’azienda utilizza la formazione per consolidare l’engagement dei lavoratori.
Per assicurare che i contesti di lavoro siano luoghi nei quali le persone possano crescere prima come individui e poi anche come lavoratori, è necessario iniziare a vedere la formazione come un processo continuo e indispensabile, che accompagna tutta la carriera del lavoratore e che lo supporti anche nell’età della pensione. A differenza di un piano di reskilling, che prevede un grosso sforzo formativo concentrato in un momento ben preciso e possibilmente breve, l’upskillling deve essere vissuto come una costante.
I benefici a lungo termine di un piano di upskilling e reskilling possono essere:
consente di ridurre il turnover, soprattutto nelle nuove generazioni che vedono nella formazione un elemento fondamentale della propria motivazione.
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