Quanta importanza ha la formazione per l'accesso al mondo del lavoro e per il mantenimento nel tempo delle competenze. Che influenza ha la tecnologia?
Guardando all’esperienza della maggior parte di noi, a quanta parte della nostra vita è oggi pervasa dalla tecnologia e a quali balzi in avanti siano stati fatti durante gli ultimi anni (e non solo per effetto della pandemia), l’interrogativo sembrerebbe banale, e la risposta potrebbe apparire altrettanto scontata.
Invece, è più che mai importante riflettere su questi interrogativi non solo alla luce dell’esperienza degli ultimi anni ma, soprattutto, tenendo conto dei futuri sviluppi della tecnologia.
Dall’intelligenza artificiale, i cui confini sono in costante evoluzione e mutamento, in connessione con la necessità di trovare modi sempre più sofisticati di gestione della mole di dati e di informazioni che vengono generati ogni giorno, alle nuove frontiere di internet che si stanno affacciando all’orizzonte.
Parlare di competenze oggi significa costruire in primo luogo una solida formazione di base che comprenda anche le competenze digitali generali.
Competenze, quest’ultime, che vanno fatte crescere ed evolvere nel tempo adattandole e contaminandole trasversalmente con altre competenze più prettamente umanistiche, essenziali per poter seguire i mutamenti del contesto sociale, naturale, culturale, storico ed economico in cui si è chiamati a operare.
Secondo studi recenti, in un mondo sempre più pervaso dalla tecnologia, le competenze digitali generali diverranno fondamentali per il 90% dei lavori, mentre le competenze digitali avanzate – già oggi insufficienti a colmare la domanda di lavoro – saranno riservate a settori sempre più specifici, specialistici e/o innovativi.
Le competenze digitali saranno fondamentali, ma saranno necessarie anche competenze sociali ed emozionali per seguire l’evoluzione del progresso tecnologico in tutte le sue forme.
Il World Economic Forum ha stimato che in futuro il saldo tra posizioni di lavoro che spariranno e nuovi lavori sarà comunque attivo (85 milioni contro 97 milioni), a patto però di un costante lavoro di adattamento attraverso l’aggiornamento (up-skilling) e la riqualificazione (re-skilling).
È per questa ragione che familiarizzare sempre di più con la tecnologia è ormai parte del bagaglio culturale degli individui, per contribuire a colmare al più presto i gap ancora esistenti in termini di analfabetismo digitale, ossia di competenze digitali generali e di base.
Se guardiamo ai dati diffusi dall’ISTAT nel 2019 (e significativamente prima della pandemia) risultava che in Italia il 71% delle donne e il 77% degli uomini faceva uso di internet di frequente, ma allo stesso tempo solo il 19% delle donne e il 25% degli uomini italiani possedeva competenze digitali superiori a quelle di base, contro il 31 e 36% della media UE.
Negli ultimi due anni sono stati fatti grandi balzi in avanti. Ma se prendiamo ad esempio proprio l’accelerazione data dalla pandemia, che ha richiesto in alcuni casi e in pochi mesi grandi sforzi alle generazioni più anziane in attività lavorativa (i Baby Boomers), possiamo toccare con mano quanta importanza hanno acquisito oggi la capacità di adattamento e quella di apprendimento.
E se l’acquisizione di competenze digitali generali è ormai considerata dagli esperti parte dell’alfabetizzazione degli individui, come leggere e scrivere, saranno proprio la capacità di adattamento, di apprendimento, di collaborazione avanzata e di self-management ad avere un posto di riguardo nei processi di formazione che dovranno necessariamente seguire l’evoluzione tecnologica.
A patto di avere solide basi di formazione scolastica. Risulta infatti ancora molto alta la dispersione scolastica implicita, ossia l’incapacità di un ragazzo di leggere e comprendere un testo scritto.
In questo caso, secondo alcuni scienziati, sarebbe anche il cattivo uso della tecnologia a determinare i danni maggiori, perché in età evolutiva è essenziale per lo sviluppo del cervello che ai metodi di apprendimento più innovativi vengano affiancati anche i metodi di apprendimento tradizionali.
Perché solo l’uso consapevole della tecnologia quale parte essenziale, insieme agli strumenti tradizionali, della formazione di base, consentirà di farne uno strumento indispensabile della vita adulta. E ciò sia in età lavorativa sia nell’età della pensione.
In definitiva, solo se le basi saranno solide, anche in termini di corrette competenze digitali, si potrà garantire agli anziani di mantenersi attivi e ingaggiati.
Se guardiamo proprio agli ultimi anni, possiamo vedere che la maggior parte degli individui ha acquisito e ormai fatto propria la capacità di svolgere le più varie attività in remoto: spesa, acquisti, intrattenimento, home banking.
Allo stesso tempo si sono acquisite le abilità necessarie a fare uso dei programmi e delle piattaforme di comunicazione e collaborazione a distanza.
Tutti questi strumenti sono già divenuti parte del bagaglio minimo di conoscenze richiesto per lo svolgimento delle proprie attività quotidiane e sono molto più diffusi oggi rispetto a due anni fa.
Programmi e piattaforme senza i quali molte attività di relazione e lavorative non si sarebbero potute affrontare e che sono divenute parte delle modalità di lavoro ibride che si stanno consolidando.
E adesso, proviamo a riflettere a quanto sforzo intellettuale, organizzativo e tecnico ha richiesto la riconversione di molte attività che non potevano essere più svolte in presenza.
Si pensi ad esempio all’evoluzione che ha avuto la fruizione di alcuni eventi, quali ad esempio le sfilate di moda, le quali oggi si svolgono anche nella realtà virtuale per accompagnare il cliente in modalità di acquisto che, seppure siano in remoto, hanno qualità e caratteristiche di tipo esperienziale. Divenendo più coinvolgenti.
Si inizia così a sentir parlare sempre di più di metaverso. Termine coniato nel 1992 da Neal Stephenson nel proprio romanzo cyberpunk Snow Crash, nel quale presenta un mondo virtuale in 3D in cui le persone, rappresentate come avatar, possono interagire tra loro e con agenti artificialmente intelligenti in uno spazio virtuale tridimensionale che utilizza la metafora del mondo reale.
Da quando, poi, a ottobre 2021 Mark Zuckerberg ha annunciato l’inizio «del prossimo capitolo di internet» e il cambio di nome della società, da Facebook a Meta, l’attenzione globale si è gradualmente concentrata su questo nuovo potenziale capitolo della tecnologia, tutto ancora da sviluppare, un po’ internet del futuro, realtà virtuale e realtà aumentata.
Gli esperti dicono che è ancora troppo presto per valutarne le implicazioni, ma in molti sono convinti che non solo soppianterà i social network ma cambierà anche il modo in cui si opera e si interagisce on line, influenzando le relazioni e anche l’organizzazione del lavoro.
Stanno infatti già nascendo nuove figure professionali in grado di accompagnare le aziende nella transizione verso forme di interazione e di collaborazione virtuale che costituiscono il primo passo verso lo sviluppo di questi nuovi ambienti: esperti di design 3D automation, ma anche sviluppatori e programmatori di modelli 3D, così come figure intermedie, ma con specifiche competenze tecniche quali gli Innovation Managers. Solo per fare qualche esempio.
Per poter seguire le complessità nell’evoluzione del modo di lavorare che la rivoluzione tecnologica porta con sé è necessario prendere consapevolezza dei cambiamenti in atto e interpretarli alla luce delle nostre radici storiche, culturali e umanistiche. Senza questa sorta di contaminazione non sarà possibile affrontare le sfide che il futuro ci impone in termini di competenze.
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