L’innovazione nella gestione dell’orario di lavoro è proposta rivoluzionaria. La prospettiva della settimana corta ha un preciso fondamento giuridico
La diffusione dall’Europa al Giappone, alla Nuova Zelanda degli esperimenti relativi alla settimana lavorativa corta, ossia alla distribuzione dell’orario di lavoro settimanale su quattro giorni e non sui tradizionali cinque giorni a settimana, è il segno di un’evoluzione, forse accelerata dalla pandemia, ma anche di una rivoluzione. Per molteplici ragioni.
È questo il senso reale della flessibilità organizzativa. Nel rispetto di alcuni fondamentali principi del nostro ordinamento giuridico. Ma su basi nuove. Quali?
È principio ormai consolidato che nella gestione del rapporto di lavoro si debba necessariamente valutare il contributo del lavoratore prevalentemente in termini di ore di lavoro, ossia di disponibilità a spendere nell’organizzazione dell’impresa le proprie energie psicofisiche per un tempo definito.
La retribuzione è così determinata proprio in base al rapporto teorico tra tempo di lavoro e utilità generata dall’attività del lavoratore.
Ma questo rapporto, che scaturisce dall’impostazione tradizionale del lavoro di fabbrica, non appare più al passo con i tempi, e non sembra più utile da solo per verificare l’influenza che sulla retribuzione e sui tempi di lavoro ha un altro fattore divenuto essenziale con l’ingresso massiccio della tecnologia nelle attività di lavoro: la produttività.
La produttività è un parametro di misurazione dell’efficacia del lavoro che si fonda sulla capacità di definire obiettivi e risultati e sulla capacità di assegnare al raggiungimento di essi il giusto numero di ore di lavoro.
Un po’ il lavoro che si fa quando si sottoscrive un contratto di appalto: si effettua un calcolo del numero di ore (uomo) necessarie al raggiungimento di un determinato risultato e si verifica, attraverso la predisposizione di sistemi di controllo, se quella stima di ore di lavoro è corretta, in relazione all’obiettivo definito nel contratto e al corrispettivo concordato.
Nel rapporto di lavoro subordinato, la retribuzione base è determinata dai contratti collettivi nazionali in attuazione del principio costituzionale della «giusta retribuzione» ossia del «minimo vitale» (art. 36 Cost.), indipendentemente dal raggiungimento o meno di un determinato risultato, mentre il parametro della produttività viene utilizzato a livello aziendale per la determinazione della retribuzione variabile (a parità di ore lavorate).
Solo una maggiore consapevolezza del rapporto esistente tra efficientamento dei tempi di lavoro, produttività e retribuzione consente di creare le premesse per poter ragionare concretamente in termini di maggiore flessibilità nell’organizzazione dell’orario di lavoro.
La definizione che la legge fornisce di orario di lavoro è utile a fare questo importante passaggio.
Se si parte dalla definizione normativa di orario di lavoro contenuta nella legge, si può vedere che è orario di lavoro «qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività e delle sue funzioni» (art. 1 D.Lgs. n. 66/2003).
La norma non impone le otto ore giornaliere sui cinque giorni della settimana ma, preferendo un concetto aperto di disponibilità delle energie psicofisiche del lavoratore, apre già a una maggiore flessibilità entro il limite di legge delle 40 ore settimanali. Il che aiuta a dare valore e spazio più concreti anche ai tempi di non lavoro.
In pratica, laddove si sia in grado di istituire sistemi di misurazione e di controllo dei risultati, l’orario di lavoro diviene uno strumento meno rigido, utile a dare valore in una logica di produttività – e a parità di retribuzione – sia ai tempi di lavoro, che ai tempi di non lavoro.
La disciplina del lavoro agile (artt. 17-23 L. n. 81/2017) aiuta a comprendere meglio l’evoluzione in atto nel rapporto tra produttività e misurazione del tempo di lavoro.
Nella definizione di lavoro agile si trova infatti il riferimento al lavoro «per fasi, cicli e obiettivi», necessario per cominciare ad abbracciare un concetto di lavoro subordinato svincolato non solo dai limiti di spazio (il lavoro in sede) ma anche di tempo (l’orario di lavoro rigido).
Il vero lavoro agile prescinde dal rigoroso rispetto dell’orario di lavoro applicato per il lavoro in sede, a favore di una organizzazione più libera, perché direttamente collegata con la predisposizione di sistemi di controllo e di misurazione del lavoro per obiettivi.
Il tutto nel rispetto dei limiti massimi dell’orario di lavoro settimanale previsti dalla legge e del diritto alla disconnessione, degli obiettivi aziendali e – dettaglio non da poco – delle esigenze di conciliazione vita-lavoro, quindi anche dei tempi di non lavoro.
Secondo gli studi organizzativi, una maggiore libertà nella gestione dei tempi di lavoro consente agli individui di poter gestire al meglio la propria energia, il proprio equilibrio tra lavoro e vita privata – fondamentali proprio per la produttività – e consente loro anche di riscoprire la quotidianità al di fuori del lavoro.
Si tratta di principi da tempo oggetto di studio in psicologia del lavoro, indispensabili per poter accompagnare il cambio di prospettiva nella gestione del rapporto di lavoro subordinato e passare così da una distribuzione dell’orario di lavoro più rigida a una più flessibile.
Come quella che si sta sperimentando in alcuni paesi e più recentemente, con la previsione del Belgio della settimana lavorativa di quattro giorni. Un’evoluzione che è anche una rivoluzione.
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