Quanto conta l’esperienza dei Modelli 231 nella costruzione di una vera cultura della responsabilità aziendale?
Negli ultimi venticinque anni, le imprese hanno imparato a conoscere la Responsabilità Sociale d’impresa (CSR – Corporate Social Responsibility), anche attraverso strumenti come il Modello organizzativo 231 e l’Organismo di Vigilanza.
Questo sistema ha introdotto regole e procedure per garantire legalità, trasparenza e tracciabilità delle decisioni. Ma il Modello organizzativo 231 funziona solo se riflette davvero l’organizzazione: non basta avere un codice etico, serve che rispecchi i valori concreti dell’azienda.
Oggi il Bilancio di sostenibilità, fondato sui tre principi ESG (Environmental, Social, Governance), affianca e rafforza il Modello organizzativo 231.
Con le nuove regole europee – in particolare la Direttiva UE 2022/2464 (CSRD) e il Regolamento UE 2023/2772 che introduce gli ESRS (European Sustainability Reporting Standards) – il codice etico acquista un nuovo ruolo. Non è più solo un documento interno per fare evidenza all’implementazione e controllo del Modello organizzativo 231, ma un elemento chiave del reporting di sostenibilità richiesto a livello europeo.
In questo contesto il 5 luglio 2024 è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea anche la Direttiva UE 2024/1760 relativa al dovere di diligenzaÈ uno degli obblighi del lavoratore, che deve eseguire la prestazione rispettando le modalità tecniche e pratiche di svolgimento richieste dalla natura del lavoro svolto, oltre che dall’interesse dell’impresa. More delle imprese ai fini della sostenibilità, che modifica la direttiva (UE) 2019/1937 ed il regolamento (UE) 2023/2859.
Questa normativa chiede alle imprese – soprattutto grandi gruppi – di adottare procedure di due diligence per prevenire impatti negativi su ambiente e diritti umani, obiettivi riconducibili sempre ai principi ESG. Un passo in avanti verso una governance più responsabile, che va oltre il perimetro dei reati del Modello organizzativo 231.
L’obiettivo è quello di garantire chiarezza nei confronti degli azionisti e degli investitori sui risultati economici ma anche nei confronti di tutti gli stakeholder (lavoratori, comunità di riferimento, clienti, fornitori, consumatori finali).
Le imprese cui è rivolta la Direttiva (grandi gruppi e imprese di grandi dimensioni) sono tenute ad integrare la due diligence nelle loro politiche e sistemi di gestione dei rischi, identificando e valutando gli impatti negativi effettivi o potenziali delle condotte rilevanti al fine di prevenirli o attenuarli, monitorando infine l’efficacia delle misure adottate.
Sebbene le PMI non siano direttamente soggette agli obblighi, possono essere coinvolte come partner commerciali della catena del valore delle grandi imprese ed in qualità di appaltatori o subappaltatori, nel rispetto di alcuni principi fondamentali quali:
La Direttiva UE 2024/1760 parla di due diligence perché introduce un obbligo strutturato finalizzato a identificare, dichiarare, prevenire, mitigare l’impatto negativo, reale o potenziale, sui diritti umani e sull’ambiente dell’azione dell’impresa, secondo tre direttrici che interessano:
L’approccio cui è ispirata la Direttiva è quello basato sul rischio, già conosciuto sia con il Modello organizzativo 231 sia da molte aziende (anche PMI) che già adottano su base volontaria molti degli strumenti di certificazione già presenti sul mercato.
La Direttiva nel caso specifico dei diritti umani e dell’ambiente si ispira ai principi OCSE e alle linee guida ONU, ma li rende obbligatori per le grandi imprese includendo ad esempio:
Oggi il Bilancio di Sostenibilità e il Modello organizzativo 231 non sono più separati. Entrambi puntano alla trasparenza dei comportamenti aziendali, ma con finalità diverse e ambiti più ampi, come dimostrano anche le nuove regole sul whistleblowingil whistleblowing è la segnalazione del lavoratore dipendente che scopre una frode, un comportamento pericoloso o in qualsiasi modo contrario alle legge, ai danni dell’azienda stessa, dei colleghi o dei clienti. More (D.Lgs. 24/2023) che non dipendono più solo dall’adozione del Modello organizzativo 231.
Il codice etico diviene così il documento principale attraverso il quale è possibile dare conto in modo trasparente del comportamento dell’azienda a tutti i livelli, all’interno dell’organizzazione ed all’esterno, verso i partner commerciali e tutti gli stakeholder.
È lo strumento principale per dimostrare la coerenza tra valori dichiarati e azioni concrete, sia verso l’interno dell’organizzazione sia verso l’esterno. È un documento dinamico, da aggiornare costantemente, e da integrare nei modelli organizzativi, nei piani formativi e nei sistemi di controllo.
I revisori di Bilancio di Sostenibilità potrebbero valutare quanto il codice etico sia davvero applicato.
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