Diffusione, criticità e nuove prospettive per un welfare capace di rispondere ai bisogni reali di persone e aziende.
Il welfare aziendale sta vivendo una fase di forte crescita. Dal 2016, grazie alle misure introdotte per favorirne la diffusione, il numero di aziende con programmi strutturati è triplicato.
Nel 2024 il valore medio del credito welfare per dipendente ha raggiunto circa 910 euro annui. Inoltre, l’utilizzo effettivo dei benefit da parte dei lavoratori è in crescita, con percentuali di utilizzo delle risorse disponibili pro-capite di circa l’80%.
Un segno concreto di come il welfare stia diventando una leva reale di benessere e fidelizzazione.
Negli ultimi anni il welfare aziendale è diventato una leva strategica per le imprese. Non è più solo un tema istituzionale o di dibattito pubblico, ma uno strumento concreto per aumentare l’engagement e misurare il livello di benessere dei lavoratori.
Perché oggi, più che mai, il benessere dei lavoratori – nei suoi molteplici aspetti – è al centro delle politiche organizzative anche in risposta a fenomeni strutturali: l’invecchiamento demografico, la pressione sui costi sociali, la necessità di assicurare in senso effettivo la conciliazione vita-lavoro.
In Italia, circa 6,6 milioni di lavoratori percepiscono benefit di welfare aziendale per un valore complessivo stimato in circa 3,3 miliardi annui (Secondo Welfare). I piani di welfare includono una vasta gamma di servizi: sanità integrativa, assistenza, istruzione, tempo libero e fringe benefit come buoni spesa o voucher.
Le differenze tra imprese grandi e piccole sono ancora significative, non solo per capacità finanziaria, ma anche per competenza interna e cultura organizzativa. Elementi che influenzano la capacità di creare ambienti di lavoro davvero orientati al benessere e alla produttività.
Il welfare non deve infatti essere percepito solo come un costo. Se ben progettato, può migliorare l’engagement, ridurre il turnover, rafforzare la reputazione e inserirsi pienamente nella componente Social degli obiettivi ESG.
I dati più recenti ci dicono che nel 2024 molte imprese hanno dichiarato di aver potenziato le strategie welfare con un aumento del 43 % rispetto all’anno precedente (Aiwa).
Nonostante i progressi, le sfide restano. La diffusione del welfare aziendale è ancora disomogenea: le iniziative risultano concentrate soprattutto nelle imprese medio-grandi e in alcune aree geografiche del Nord, mentre le PMI più piccole e interi settori faticano a introdurre misure di welfare per mancanza di risorse o competenze adeguate. Ciò crea il rischio di disparità, anche tra i lavoratori.
La Legge di Bilancio 2026 prevede diverse novità per potenziare il welfare aziendale. Tra le proposte principali:
A livello istituzionale, cresce anche l’attenzione verso il rafforzamento del welfare “di conciliazione” (asili, cure familiari, servizi dedicati) per contrastare il problema della bassa natalità favorendo il benessere familiare nel lungo termine.
Le proposte di potenziamento del welfare aziendale sono importanti, ma vanno valutate con attenzione. L’estensione delle agevolazioni fiscali comporta un peso economico da non sottovalutare e deve rispettare gli equilibri di finanza pubblica.
Se infatti da una parte si incentiva l’iniziativa privata, dall’altra si rischia di accentuare il problema dell’equità: chi già gode di piani welfare strutturati potrebbe avvantaggiarsi ulteriormente, aumentando le disuguaglianze già esistenti tra imprese di grande e piccola dimensione e tra settori.
Aumenta l’esigenza di un approccio integrato al welfare aziendale, capace di bilanciare benefici fiscali, vincoli normativi, equità interna ed esigenze organizzative, così da valorizzare appieno il potenziale positivo per imprese e lavoratori.
Una possibile soluzione è il welfare integrato pubblico-privato, che combina risorse aziendali con bonus, agevolazioni e servizi pubblici spesso poco utilizzati a causa di scarsa informazione o complessità burocratiche.
Si stima, ad esempio, che un lavoratore, sfruttando appieno il welfare pubblico già esistente (bonus statali, misure locali, prestazioni degli enti bilaterali di settore), possa ottenere in media circa 980 euro annui di benefici economici aggiuntivi rispetto a quanto offre l’azienda. Integrando tali opportunità nel piano welfare aziendale, l’impresa può ampliare il sostegno ai propri dipendenti senza costi diretti aggiuntivi.
L’integrazione privato-pubblico alleggerisce la pressione sul sistema statale, migliorando l’uso delle risorse già disponibili.
Il nodo chiave è la digitalizzazione delle piattaforme welfare, che deve garantire trasparenza, flessibilità e facilità d’uso per i dipendenti e semplicità gestionale per le aziende. Le PMI, in particolare, devono superare i vincoli amministrativi adottando modelli agili e modulari.
Il welfare non è più un dettaglio: integrarlo con il pubblico significa unire responsabilità sociale, innovazione contrattuale e competitività. La sfida dei prossimi anni sarà trasformarlo da strumento tattico in infrastruttura strategica e permanente del lavoro moderno.
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