Quando la motivazione guida il cambiamento

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(foto Shutterstock)

Dal fenomeno delle grandi dimissioni al quiet quitting i dati sembrano dirci che è necessario recuperare motivazione. Come?

La Great Resignation parte dagli USA 

Gli ultimi dati sulle dimissioni registrati dal Ministero del Lavoro nella sua nota trimestrale confermano che è in atto una tendenza che, partita dagli Stati Uniti a fine 2021 con quella che è stata definita la Great Resignation, ha iniziato a fare il suo ingresso anche in Italia già a partire dai primi mesi del 2022.

L’analisi più approfondita dei dati dei primi mesi del 2022 ha messo in evidenza che il fenomeno non poteva essere il solo effetto di un nuovo modo di intendere il lavoro. Non era solo l’onda lunga di quel ripensamento dei valori primari che ciascuno ha sperimentato durante la pandemia, ma poteva essere legato al blocco dei licenziamenti (finito a fine 2021) e al rinvio di decisioni che sono state congelate a causa dell’emergenza sanitaria.

I dati che abbiamo oggi sembrano però dire altro.

Le Grandi Dimissioni italiane

Nell’ultimo trimestre 2022 le cessazioni per Dimissioni sono state pari a 562 mila unità (il 17,9% del totale: 18,5% uomini e 17,2% donne). Tra tutte le cause di cessazione dei rapporti di lavoro analizzate, le variazioni più significative si sono registrare proprio nelle Dimissioni (+6,6%, pari a +35 mila).

Ma il dato più significativo è quello che si legge in relazione alle fasce di età interessate: la crescita dei lavoratori interessati da almeno una cessazione – così come l’incremento dei rapporti cessati – è riconducibile a un aumento maggiore della componente femminile, pari al 7,9%, nei confronti della componente maschile (pari al 5,4%). 

Questa crescita risulta più consistente nelle classi d’età fino a 24 anni (+14,5% ma in questa fascia con una certa prevalenza nei numeri degli uomini rispetto alle donne) e 65 e oltre (+9,2%). Il che ci induce a ritenere che la tendenza riguardi in misura significativa le nuove generazioni

Come peraltro rilevato anche da alcune ricerche diffuse a inizio 2022: le fasce di età più coinvolte un anno fa erano quelle 26-35 anni (il 70% di un campione di 600 aziende analizzato da AIDP).

E che dire del quiet quitting?

Non solo, sembra diffondersi anche il fenomeno del quiet quittingossia del “lavorare il giusto”, propriamente non fare più del necessario in modo da evitare lo stress indotto dall’eccesso di lavoro, con il minimo coinvolgimento emotivo ed entro la stretta cornice delle mansioni assegnate. 

Se la prospettiva è quella di lavorare per le tradizionali 8 ore, tutti i giorni dal lunedì al venerdì e senza margini di flessibilità, non ci si può stupire se le indagini registrino per l’Italia la più alta disaffezione al lavoro

Le percentuali di engagement sono minime: parliamo del 4%, a fronte di una media che a livello globale si aggira intorno al 20% (ricerca Gallup, State of global workplace 2022). E questo è vero in misura maggiore e ancora una volta per le nuove generazioni, come i dati sulle dimissioni sembrano mettere in evidenza.

C’è un problema di motivazione?

Stanno mutando il senso e il significato del lavoro e in questo scenario è necessario ripensare alcuni parametri dell’organizzazione del lavoro che sono divenuti fondamentali per alimentare motivazione e senso di appartenenza nelle nuove generazioni.

Innanzitutto, la possibilità di gestire in autonomia il proprio tempo di lavoro. Non è più possibile pensare all’organizzazione di tipo tradizionale con presenza in ufficio continuativa per 5/6 giorni a settimana e per 8ore al giorno. 

Ma è necessario anche essere consapevoli delle particolarità e delle necessità dei diversi settori cercando di adottare modelli di organizzazione del lavoro che favoriscano la produttività assecondando, allo stesso tempo, anche i desideri e le aspirazioni delle nuove generazioni. Nuove generazioni che non sono per niente prive di rotta ma le cui aspirazioni e potenzialità vanno opportunamente valorizzate. Come?

Oppure va ripensata l’organizzazione del lavoro?

È necessario adottare dei modelli di gestione del rapporto di lavoro che siano più vicini al modo di essere e di relazionarsi delle nuove generazioni, sapendo che sono loro oggi a guidare il cambiamento nei modelli di organizzazione del lavoro che si stanno affermando. Perché sono loro i primi a esserne coinvolti.

Deve cambiare la relazione azienda-collaboratore o ci si troverà a dover fronteggiare dimissioni e turn-over sempre più elevati. 

Ma deve cambiare anche il modo con cui si affronta l’organizzazione del lavoro, nella consapevolezza dell’importanza che, con l’uso sempre più pervasivo della tecnologia, è necessario cambiare il modo stesso di lavorare. 

Come? Prevedendo di adottare strumenti di gestione flessibile dell’orario di lavoro, dei turni, delle persone, implementando l’adozione di tool e strumenti di time management e di misurazione della produttività che aiutino a gestire meglio i ritmi di lavoro, alternando periodi di lavoro in presenza e periodi di lavoro in remoto (il modello ibrido), sessioni di lavoro in team e momenti di focus, con pause e fasi di disconnessione.

Strumenti diversi per settori diversi: anche questa è flessibilità

Il lavoro è cambiato, non è più quello di una volta, non è più il lavoro dell’alba della rivoluzione industriale, né quello che hanno conosciuto i nostri nonni e i nostri padri. 

Non ha più senso passare l’intera giornata in ufficio se si fa esclusivamente un lavoro intellettuale, mentre ha molto senso prevedere forme di lavoro ibrido se si fa un lavoro commerciale e prevedere una presenza continuativa al lavoro ma con la previsione di turnazioni flessibili se si è impegnati in attività produttive e di retail.

È quello che chiedono le nuove generazioni per trovare motivazione, perché l’impegno di lavoro quotidiano possa divenire anche strumento di felicità e di affermazione personale. 

La possibilità concreta di avere accesso a forme di flessibilità organizzativa che aiutino ad accrescere engagement e motivazione e facciano sentire i giovani parte di un progetto in cui il loro apporto e le loro idee possano essere presi in considerazione e valorizzati per indurli a rimanere, contribuendo a costruire il loro futuro e quello delle organizzazioni in cui lavorano.

 

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