Sovraccarico cognitivo: abbiamo tutti bisogno di disconnessione

Sovraccarico cognitivo: abbiamo tutti bisogno di disconnessione
(foto Shutterstock)

Siamo sommersi dai dati e dalle informazioni. È ormai un dato di fatto. Imparare a governarli è divenuta un’abilità necessaria per tutti. Come?

È vero calo di motivazione o voglia di disconnessione?

Inizia a emergere da più parti una sempre più marcata esigenza di disconnessione. Staccare la spina, come si usa dire, per recuperare le energie psico-fisiche utili a rendersi più efficaci nelle attività quotidiane. Ma anche per non alimentare quella disaffezione al lavoro che è generata solo da una nuova forma di stress e non da un vero e proprio calo della motivazione.

Se prima della pandemia si parlava in prevalenza di stress lavorativo, oggi con la maggiore consapevolezza di quanto la tecnologia permei ogni singolo aspetto della nostra vita, l’imperativo diviene imparare a gestire i dati e le informazioni e imparare a gestire il tempo, che sia di lavoro o di non lavoro. 

Cos’è il tecno-stress?

L’OMS definisce il burnout come una “sindrome derivata dallo stress lavorativo cronico non adeguatamente gestito”. Sostanzialmente è una sindrome da super-lavoro non gestita che può sfociare in una vera e propria patologia. Anche l’uso continuativo dei vari strumenti elettronici a disposizione può generare forme di tecno-stress, ossia di stress digitale.

Si tratta di un fenomeno che è aumentato proprio durante i mesi della pandemia, in prevalenza tra i lavoratori appartenenti alle generazioni più anziane (Baby Boomers, ossia i nati tra il 1946 e il 1964, e Generazione X, ossia i nati tra il 1965 e il 1981), anche a causa del più basso livello di competenze digitali che si sono trovati costretti a colmare in pochissimo tempo.

E il sovraccarico cognitivo?

Non solo, siamo così tempestati di informazioni, di notizie, di dati che il nostro cervello spesso non riesce a elaborarle, a mantenerle e a gestirle: ne siamo così influenzati da avere, in alcuni casi, abdicato alla separazione tra tempo di lavoro e tempo di riposo, utilizzando spesso anche i momenti di pausa per restare connessi su chat, gruppi, informazioni e news.

Alcuni hanno già iniziato a definire questo fenomeno. Si tratta di sovraccarico cognitivo, in pratica lo stress generato dalla necessità di gestire una mole di dati, informazioni, app e piattaforme che è ormai divenuta parte del nostro quotidiano e base della maggior parte delle attività lavorative della civiltà terziaria che si sta affermando nell’era post-industriale.

Un desiderio di disconnessione amplificato

Fino a tre anni fa la necessità di prendersi delle pause, di staccare, di ricaricarsi con periodi di disconnessione veniva percepita solo in parte. O meglio, probabilmente non veniva percepita in tutta la sua portata. 

Oggi questa esigenza è molto sentita e risulta amplificata proprio per effetto delle storture sperimentate durante gli anni di iper-connessione (lavorativa e ricreativa) che abbiamo appena vissuto.

Avere cura delle persone e del benessere all’interno delle organizzazioni significa essere consapevoli anche di questo nuovo fattore di stress, che va opportunamente governato.

È un diritto di disconnessione che nasce dalle storture del lavoro da remoto continuativo, ma che è anche indipendente da esso, perché divenuto aspirazione di tutti nella gestione della quotidianità.

Una complessità che va governata

Questo fattore influisce negativamente sulla motivazione e quindi sulla percezione del posto che il lavoro occupa oggi nella nostra vita. Si tratta in prevalenza di stanchezza e frustrazione generate dalla mole di dati e dalla complessità di gestione delle informazioni che quotidianamente dobbiamo affrontare.

A volte anche una fonte di preoccupazione, per il timore di non poterle adeguatamente governare per gestire al meglio le attività quotidiane. Con importanti conseguenze anche sul piano psico-fisico: dal sonno, all’alimentazione, fino alla concentrazione.

Gli scienziati affermano che i media digitali, che sono una grande risorsa, generano anche dipendenza e possono essere dannosi in quanto fonte di stress, insonnia, sovrappeso (Spitzer, 2013).

Il cervello ha bisogno di riposo, di pause e, soprattutto, di attenzione anche alle attività manuali e fisiche per crescere, alimentarsi e mantenersi attivo e concentrato.

Una possibile soluzione: la settimana corta

Prendersi delle pause – anche dalla tecnologia – è divenuto così lo strumento indispensabile per rigenerare le energie psicofisiche. Alcuni ipotizzano che anche lo strumento della settimana corta potrebbe aiutare a gestire meglio questa complessità.

Avere un giorno di riposo in più nell’arco della settimana, non necessariamente in continuità con il fine settimana, come stanno facendo molte aziende che hanno introdotto la settimana corta con un giorno di riposo a rotazione tra il lunedì e il venerdì, potrebbe essere di aiuto per gestire meglio gli effetti del tecno-stress, liberando energie positive per la produttività e la creatività.

È già quanto ciascuno di noi può concretamente sperimentare dopo un periodo di ferie: il riposo – purché sia un vero riposo e non una rincorsa a riempire la giornata con mille attività – favorisce una ripresa più efficace e più alti gradi di motivazione e di concentrazione nel rientro al lavoro.

Stili di vita sani generano organizzazioni sane

Promuovere stili di vita più sani che riguardino la qualità del sonno, le abitudini alimentari o il sapersi prendere del tempo libero, è divenuta una necessità anche della nostra vita “digitale”.

Anche questo è benessere organizzativo. Imparare a prendersi cura di sé è il primo passo per costruire ambienti di lavoro in cui il benessere degli individui diventa strumento fondamentale per promuovere la salute e il benessere dell’intera organizzazione. Per far sì che l’esigenza della disconnessione sia un’esigenza individuale, prima di essere un’esigenza legata alla gestione della prestazione lavorativa.

Le aziende in grado di gestire l’organizzazione del lavoro con la consapevolezza delle complessità che derivano dalla gestione dei dati e delle informazioni sono le organizzazioni che sapranno traghettare l’organizzazione del lavoro fordista verso nuovi e più dinamici modelli organizzativi di tipo flessibile.

 

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