La proposta rientra nel perimetro del CCNL dei bancari, ma i sindacati protestano contro la scelta di applicarla solo a una parte dei dipendenti
Lavorare 4 giorni, con lo stipendio di 5. Intesa Sanpaolo ci prova, con una proposta che ha fatto molto discutere: portare le ore lavorate da 37,5 a 36, con quattro giornate lavorative di nove ore.
La formula, nei contratti degli istituti di credito, esisteva già dal 2012 ed era comunemente indicata come “4×9”. La novità sta nel volerla applicare a un alto numero di lavoratori. Ma la discussione è ancora in corso.
Un sogno per la maggior parte dei lavoratori, ma anche un tema sempre più discusso ai piani alti delle aziende, oggi più che mai chiamate a interpretare i bisogni e i desideri dei dipendenti.
La settimana corta salta periodicamente agli onori delle cronache ormai da anni: se n’è parlato in sede aziendale, ma ci sono anche governi (come quello tedesco o spagnolo) che hanno cercato soluzioni per rivoluzionare dall’alto la distribuzione delle ore di lavoro.
Dopo la pandemia, la questione è tornata alla ribalta con ancora più forza. Uno degli effetti del lockdown, è ormai risaputo, è stato quello di portare le persone a riflettere sulle priorità, sulla necessità di riappropriarsi di spazi di benessere e di soddisfazione personale.
E questo si riflette anche sul lavoro, da un lato con numeri altissimi di persone che hanno scelto di dare una svolta alla carriera, dall’altro con un esercito di giovani che alle aziende non chiedono solo un buono stipendio ma anche benefit, formazione, attenzione al territorio. Di qui la necessità di interrogarsi su nuovi metodi di engagement e su soluzioni che motivino le persone.
L’idea presentata da Intesa Sanpaolo è quella di ridurre di poco le ore lavorate e di concentrarle in quattro giorni anziché cinque. La proposta rientra nel perimetro del contratto collettivoÈ l’accordo stipulato a livello nazionale tra i sindacati di rappresentanza dei lavoratori e dei datori di lavoro per regolare determinati aspetti dei contratti individuali di lavoro di un certo settore (es. orario di lavoro, retribuzione minima, ferie, congedi, ecc.). More nazionale dei bancari, che prevede appunto 37,5 ore di lavoro settimanali, che possono ridursi a 36 se articolate su quattro giorni.
Quanto al giorno libero, non dev’essere per forza il venerdì: l’idea è quella di lasciare la scelta al dipendente, in accordo con il proprio responsabile. L’autorizzazione potrà essere concessa solo compatibilmente con le esigenze tecniche, organizzative e produttive aziendali. Le richieste avanzate potranno ricevere risposta, sia positiva che negativa, anche entro la fine del terzo mese successivo alla domanda.
La proposta, per quanto allettante, ha subito sollevato perplessità da parte dei sindacati. La più importante riguarda il fatto che la modifica all’orario di lavoro non riguarderebbe tutti i dipendenti del gruppo, rischiando di creare disparità.
«Il contratto nazionale di lavoro» scrivono in un documento congiunto le delegazioni trattanti del gruppo Intesa Sanpaolo della Fabi, First-Cisl, Fisac-Cgil, Uilca-Uil «definisce il 4×9 per tutte le lavoratrici e i lavoratori del nostro settore, ma la banca non lo ha mai voluto utilizzare. Ora l’azienda, nella sua proposta, ne limita la fruizione, escludendo a priori l’applicazione per i colleghi della rete e per quelli operativi su turni.
L’impostazione dell’azienda è inaccettabile perché crea ulteriori differenze tra i colleghi di rete e quelli di governance. In una platea di 70 mila persone non si devono introdurre elementi divisivi ma lavorare per l’inclusione».
Di qui la scelta di prendere tempo per «approfondimenti e verifiche anche di natura legale» e per «individuare le soluzioni migliori per tutti i colleghi del gruppo Intesa Sanpaolo».
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