Al fenomeno della fuga all’estero dei giovani fa da contraltare la poca attrattività dell’Italia dall’estero. Ci sono soluzioni?
Formazione terziaria e fuga all’estero
L’Italia nella sua storia economica ha conosciuto alti e bassi che hanno contribuito a cristallizzare alcune criticità. Una di esse è costituita dalla bassa percentuale di coloro che scelgono la formazione terziaria avanzata.
In base ai dati Eurostat, il numero di dottorati conferiti in Italia è tra i più bassi nell’ambito dei paesi UE e da alcuni anni è in costante calo registrando un -40% nel periodo tra il 2008 e il 2019.
In pratica, secondo i dati, ogni anno in Italia solo una persona su 1000 nella fascia di età 25-34 completerebbe un programma di dottorato, contro una media UE di 1,5 (2,1 in Germania). A ciò va aggiunto che ogni anno quasi il 20% di chi consegue un dottorato in Italia si trasferisce all’estero.
L’Italia è un paese pieno di risorse culturali e di attrazioni artistiche e paesaggistiche ricercato e desiderato come meta turistica ma non altrettanto come meta di studio.
La tendenza all’emigrazione dall’Italia non è certamente nuova: si pensi a quanta parte della storia della prima metà del ‘900 è stata occupata dall’emigrazione degli italiani verso le Americhe – in prevalenza Stati Uniti e Canada – l’Australia e i paesi del Nord Europa. Si trattava nella maggior parte dei casi di emigrazione caratterizzata da bassa scolarità e di una massiccia emigrazione dalle campagne.
Ciò che sembra essere nuovo adesso è la prevalenza dell’alta scolarità di chi sceglie di trasferirsi all’estero. A emigrare oggi sono non solo i giovani con bassa istruzione, ma anche una quota rilevante di laureati che all’estero completano magari i percorsi di studio con un dottorato e lì trovano poi lavoro ben remunerato.
Le mete sono in prevalenza i paesi europei, con destinazione preferita ancora il Regno Unito, anche dopo la Brexit e anche se in misura minore rispetto al passato (23mila, 24% del totale degli espatri), la Germania (14mila, 15%), la Francia (11mila, 12%), la Svizzera (9mila, 9%) e la Spagna (6mila, 6%) (fonte: ISTAT). È sicuramente una perdita in termini di competenze.
Esistono strumenti concreti non solo per trattenere i giovani in Italia ma anche per poter attrarre giovani dall’estero.
Ancora una volta le particolarità del nostro tessuto imprenditoriale fatto di piccole e medie imprese unito al bagaglio innato di creatività e fantasia che caratterizza culturalmente l’Italia, se valutate congiuntamente, possono fare la differenza.
Un aiuto da questo punto di vista può arrivare dagli obiettivi in termini di accrescimento delle competenze che sono contenuti nel PNRR e in particolare nella Missione 4, che prevede tra i propri obiettivi il rafforzamento della ricerca e la diffusione di modelli innovativi per la ricerca di base e applicata, attraverso la destinazione di risorse specifiche finalizzate ad accrescere le sinergie tra Università e imprese.
L’obiettivo principale è quello di creare le premesse per un’occupazione qualificata dei giovani, ma anche le basi per garantire una crescita delle attività di ricerca e sviluppo (R&S) che sono la linfa vitale per l’avvio di start-up, per l’innovazione all’interno delle imprese e per la crescita qualitativa anche della formazione universitaria.
Ci dicono i dati che l’Italia è distante dalle performance di altri Paesi OCSE, facendo registrare livelli ancora bassi di spesa in R&S rispetto al PIL, tanto nel settore pubblico quanto nel privato (0,9 per cento contro una media OCSE dell’1,7 per cento).
Non solo, anche il numero dei ricercatori pubblici e privati risulta essere inferiore alla media degli altri Paesi avanzati.
I dati diffusi in occasione dell’approvazione del PNRR dicono che il numero di ricercatori per persone attive occupate dalle imprese è pari solo alla metà della media UE – ben prima della pandemia, nel 2017 un 2,3% contro un 4,3%.
Se a questo si aggiunge la scarsa propensione delle piccole e medie imprese a investire in R&S – anche per mancanza di risorse – si può capire come oggi il binomio tra tessuto imprenditoriale prevalente e mancanze della formazione terziaria avanzata abbia creato le premesse per l’attuazione di misure concrete che trovano espressione anche negli ultimi provvedimenti normativi.
Da un lato, le risorse della Missione 4 del PNRR destinate proprio all’attivazione entro il 2024 di dottorati innovativi che abbiano quale scopo principale quello di ampliare i progetti di ricerca universitaria funzionali ad assicurare alle piccole e medie imprese gli investimenti necessari in R&S (Decreti del Ministero Università e Ricerca n. 117/2023 e n. 118/2023).
Dall’altro rendere più competitiva la formazione terziaria avanzata favorendo in primo luogo la permanenza in Italia dei giovani mediante l’inserimento diretto nelle imprese a conclusione dei periodi di dottorato (sfruttando anche gli incentivi economici per l’assunzione dei giovani previsti dalla Legge di Bilancio e dal Decreto lavoro) rendendo altresì i percorsi universitari italiani – anche di specializzazione – più attrattivi per i giovani provenienti da altri paesi. Come peraltro già accade da tempo per il settore moda.
Molte sono ancora le difficoltà strutturali che fanno da sfondo alle sfide di questo percorso e che lo rendono particolarmente difficoltoso, una tra tutte proprio il sottodimensionamento dei servizi residenziali per gli studenti universitari che è allo studio e al centro del dibattito mediatico dell’ultimo periodo.
Si tratta tuttavia di un’occasione fondamentale per assicurare innovazione culturale attraverso l’osmosi che si crea con la mobilità internazionale.
Le risorse economiche e gli strumenti giuridici ci sono. È arrivato il momento di dar loro attuazione concreta, perché la sfida delle competenze e la formazione di base e continua di qualità sono presupposti fondamentali per il futuro.
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