Senza quello che abbiamo imparato negli ultimi anni non avremmo gli strumenti adeguati per affrontare il futuro. Ma di quali strumenti si tratta?
Possiamo tranquillamente dire che con il 2019 è finito un certo modo di intendere la società e il lavoro. Infatti, se ci si sofferma sui contenuti e sulle riflessioni espresse nelle principali pubblicazioni dottrinali e scientifiche fino a quella data – ossia fino a poco prima della pandemia – si può intravedere un unico filo conduttore: la necessità di capire le trasformazioni economiche e tecnologiche allora in atto e con esse individuare le implicazioni sull’organizzazione e sulla legislazione del lavoro.
A distanza di quattro anni, con l’esperienza e la consapevolezza delle sfide che individualmente, collettivamente e organizzativamente tutti noi abbiamo dovuto affrontare negli ultimi anni, ci troviamo oggi a fronteggiare i risvolti più complessi di una trasformazione che, seppure già in atto, allora probabilmente non eravamo ancora in grado di comprendere.
Lo abbiamo detto più volte: il mondo non è più quello di prima, il lavoro non è più quello di prima. Ma la realtà delle trasformazioni in corso è apparsa in tutta la sua concretezza solo a pandemia finita, quando sono emerse in modo sempre più chiaro le criticità di un modello organizzativo strutturato sulla grande impresa del IX e del XX secolo, secondo quel modello lineare studio, lavoro, pensione che non corrisponde più alla richiesta di flessibilità che arriva dalle organizzazioni e dagli individui.
Una flessibilità che prima della pandemia era il risultato di un modello industriale alla continua e forsennata ricerca di un livello sempre più alto di sviluppo. Una flessibilità che oggi, invece, risponde alla necessità di fermarsi a riflettere per trovare il giusto punto di equilibrio tra vita e lavoro, tra crescita individuale e lavoro, tra crescita economica “sostenibile” – nel significato più puro che si può dare a questo termine ormai inflazionato – e lavoro. Che garantisca il raggiungimento degli obiettivi dell’impresa, con un’attenzione più equilibrata anche ai desideri, alle aspirazioni e al benessere degli individui.
Non che oggi studio, lavoro e pensione non siano più importanti. Quello che è stato ripensato è la loro netta separazione temporale e concettuale. Non sono più momenti e tappe fondamentali della vita con un inizio e una fine, ma fattori tra loro interconnessi di sviluppo dell’individuo nell’intero arco della vita.
Oggi, ad esempio, lo studio deve accompagnare l’intera esistenza, anche il momento del ritiro dal lavoro. Il lavoro può accompagnare la fase di studio ed essere l’occasione per acquisire quel primo bagaglio di esperienze che poi accompagnerà l’individuo nel proprio sviluppo professionale e nelle diverse transizioni lavorative. Anche il momento del ritiro dal lavoro può divenire l’occasione per sviluppare e fare crescere nuove e diverse abilità e competenze.
Se la nuova organizzazione del lavoro – favorita dalla tecnologia – è in gran parte fondata sulla flessibilità (individuale, contrattuale, organizzativa), il lavoro ibrido e il desiderio di autonomia guidano il cambiamento in atto, perché sono fattori indispensabili per poter parlare di equilibrio vita-lavoro, di benessere individuale e di benessere collettivo.
Se oggi, infine, possiamo parlare concretamente della prospettiva di una revisione dei tempi di lavoro e di settimana corta, è la produttività la chiave attraverso la quale possiamo leggere e interpretare molti dei cambiamenti in atto. Le nuove e concrete sfide per il futuro.
La produttività è così diventata il fulcro attraverso il quale è possibile ripensare l’intera organizzazione del lavoro. Ma perché non resti una mera dichiarazione di principio, sterile e priva di contenuto concreto, dobbiamo imparare a renderla fattore chiave del linguaggio d’impresa e dell’organizzazione del lavoro con l’obiettivo – concreto – di costruire in modo effettivo ambienti che favoriscano appunto efficienza e produttività.
Come possiamo agire concretamente per far sì che l’organizzazione del lavoro – del nuovo lavoro – favorisca la costruzione di ambienti di lavoro in grado di alimentare quel circolo virtuoso necessario a favorire il benessere individuale e collettivo e quindi la produttività?
Rendendo concreti innanzitutto gli investimenti in termini di tempo, di risorse, di servizi che favoriscano la produttività e l’engagement. Ma anche perseguendo in modo reale obiettivi di benessere fisico e mentale, essenziale per assicurare che le persone si sentano parte del progetto dell’intera organizzazione. Ad esempio, ma non solo, con la revisione e rimodulazione degli orari di lavoro.
È inoltre indispensabile adottare concrete politiche di welfare – integrando pubblico e privato – e una corretta analisi del costo del lavoro, perché una buona progettazione del costo del lavoro consente di liberare risorse da re-investire, senza appesantire le voci del conto economico.
È arrivato il momento di passare dalle dichiarazioni di principio all’azione.
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