Ci sono alternative al lavoro subordinato standard?

Libero professionista al computer

Il passaggio dal lavoro subordinato al lavoro autonomo è un fenomeno in crescita e va attentamente valutato

Quale futuro per il lavoro subordinato

Da un paio di anni ci si interroga in modo sempre più insistente sul futuro del lavoro subordinato standard – ossia a tempo indeterminato e con più o meno lunghi percorsi di carriera – anche grazie al fenomeno che oltreoceano ha preso il nome di Grandi Dimissioni (Great Resignation), nella prospettiva di un cambio epocale, nella percezione del ruolo e del valore che il lavoro ha acquisito nel post-pandemia. 

Oggi questo interrogativo si compone di un nuovo elemento. Anzi, di un elemento che non è concretamente nuovo nella sua intrinseca validità, ma che è nuovo nella sua collocazione all’interno del mercato del lavoro.

Cosa ci dicono i dati

Partiamo come sempre da alcuni dati. L’ultima nota trimestrale del Ministero del Lavoro di giugno 2023 ha rilevato che nel primo trimestre 2023 le dinamiche tendenziali delle cessazioni dei rapporti di lavoro hanno registrato un incremento in prevalenza nei Contratti a Tempo Determinato (+3,6%, pari a +47 mila cessazioni), pari al 59,4% del totale dei contratti, mentre hanno mostrato una diminuzione nei Contratti a Tempo Indeterminato (-9,9%, pari -58 mila) – pari al 23,4% dei contratti cessati – e nell’Apprendistato (-4,3%, pari a circa -3 mila rapporti). 

Nel complesso delle tipologie contrattuali le variazioni tendenziali coinvolgono entrambe le tipologie di genere, ancora con variazioni sostanzialmente superiori nelle donne rispetto agli uomini.

Le Dimissioni, dopo l’interruzione del trend di crescita tendenziale registrato nel quarto trimestre 2022, hanno mostrato un decremento rispetto al trimestre precedente (-3,7%, pari a -19 mila).

Siamo arrivati alla fine delle grandi dimissioni?

In definitiva, quello che i dati ci dicono è che la tendenza ad affrontare nuove prospettive di vita e di lavoro che pareva aver influenzato l’andamento delle dimissioni nel periodo immediatamente successivo alla fine dell’emergenza – ossia a partire dalla prima metà del 2022 – sembra sia destinata a ricomporsi entro un maggiore equilibrio tra il trend – registrato in aumento – delle assunzioni a tempo indeterminato (dovuto anche alla riconferma degli esoneri e degli incentivi che erano stati previsti anche nel 2022) e l’obiettivo della costruzione per i giovani di percorsi di inserimento a tempo indeterminato – anche attraverso il contratto di apprendistato – diretti a consolidare motivazione e senso di appartenenza.

Sono in atto altre tendenze? 

Quello che questi dati non dicono però – perché spesso fuori dalle rilevazioni ufficiali – è che molti negli ultimi anni hanno scelto di intraprendere una strada diversa da quella tradizionale del lavoro subordinato. 

Perché non intenzionati a farsi assumere alla fine del percorso di studi, oppure, ad esempio, perché delusi da lavori caratterizzati da elevata intermittenza, oppure da orari di lavoro eccessivi o troppo rigidi oppure, ancora, dall’assenza di flessibilità organizzativa, dall’arretratezza culturale insita nella politica del controllo a tutti i costi o dalla mancanza di prospettive in termini di formazione e di crescita individuale. 

Fino ad arrivare alla più grande delusione: quella di scoprire che è impensabile illudersi di poter fare a tutti i costi un “bel lavoro”, inteso in tutte le sue componenti, in termini di contenuti, organizzazione, gestione, corrispettivi, carriera e perché no, anche in termini di auspicato divertimento. 

Lavoro e identità 

Diciamoci la verità, quanti sono davvero coloro che possono dire di “adorare” quello che fanno? E quanti, invece, non hanno accarezzato l’idea, soprattutto negli ultimi anni, di poter cambiare vita? 

Se il lavoro subordinato ha perso negli ultimi anni alcuni dei suoi principali fattori identitari, sia in termini di sicurezza intrinseca – quella del posto fisso – sia in termini di sicurezza economica, sia infine in termini di identità individuale, lo si deve a molteplici fattori.

Guardando ai fattori intrinseci, l’incremento delle attività intellettuali e del settore terziario ha fatto sì che gli individui sviluppassero una sempre più accanita propensione verso forme di maggiore “indipendenza”

Mentre, dal punto di vista dei fattori estrinseci, le turbolenze mondiali e il crescere della consapevolezza in merito al proprio desiderio di benessere, accompagnato dalla necessità di trovare il giusto punto di equilibrio tra vita e lavoro, hanno fatto il resto.

E così, molti hanno deciso di fare il grande passo: passare dal lavoro subordinato o dalla prospettiva del lavoro subordinato al lavoro autonomo. 

Un passaggio che va affrontato con molta attenzione

Perché intraprendere un percorso di lavoro autonomo non è sempre facile e significa in primo luogo capire se la propria idea professionale e imprenditoriale potrebbe avere successo. Quindi è necessaria una preliminare attività di analisi di mercato. Fatto ciò, anche se l’attività che si ha in mente sarà caratterizzata in prevalenza dal lavoro personale (che sia nell’ambito delle professioni regolamentate previste dal Codice Civile e dalle leggi speciali, oppure nell’ambito delle professioni non regolamentate di cui alla L. n. 4/2013 cui è oggi collegata la nuova legge sull’equo compenso) è necessario effettuare comunque un business plan che contempli tutto ciò che è necessario per partire: 

  • strumenti (in termini di hardware e software);
  • spazi (non sempre è possibile svolgere l’attività nel ristretto ambito delle mura di casa, specie se è necessario costruirsi una clientela);
  • costi della formazione dedicata e specifica e di tutti gli asset necessari a sostenere competenze e professionalità.

Ma anche collaboratori, in una prospettiva di crescita dell’attività, per poter avere il tempo necessario per sviluppare progetti e relazioni commerciali. Così come consulenza esterna (da parte di Enti e professionisti) necessaria per essere sicuri di muoversi correttamente entro i confini previsti dalla legge e dalle prassi amministrative per il settore di riferimento, ma anche in termini di contrattualistica e gestione dei dati. Così come da un punto di vista fiscale e previdenziale.  

Bisogna fare attenzione anche agli aspetti finanziari

È infine necessario sviluppare nuove abitudini in termini di gestione finanziaria per poter gestire le oscillazioni degli incassi dovute al passaggio a partita IVA, specie se per anni si è stati abituati a ricevere tutti i mesi una determinata e sicura somma di denaro. 

Tra l’altro, non sempre queste scelte coinvolgono posizioni dirigenziali che possono contare su consistenti liquidazioni, parte delle quali possono essere reinvestite nella nuova attività.

La tendenza che si sta affermando negli ultimi anni sta interessando in misura prevalente i giovani, i quali spesso decidono di intraprendere un’attività di lavoro autonomo già alla fine degli studi oppure dopo pochissimi anni di lavoro in azienda. Spesso senza poter contare su patrimoni familiari che assicurino il corretto sostegno economico iniziale. 

Si tratta di un aspetto che – insieme agli altri sopra evidenziati – va preso in considerazione e attentamente valutato, per evitare di fare quello che in molti casi potrebbe configurarsi come un vero e proprio salto nel buio.

 

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