Per capire l’impatto dell’intelligenza artificiale sull’organizzazione del lavoro bisogna coniugare la definizione di IA con il contesto
L’AI Act (Regolamento (UE) 2024/1689 del Parlamento europeo e del Consiglio (13 giugno 2024, pubblicato in GUUE il 12 luglio 2024) stabilisce regole armonizzate in materia di intelligenza artificiale (ma riguardante principalmente la posizione dei fornitori, degli importatori e dei distributori di IA).
Questo regolamento sceglie una definizione molto generica: individua a tal fine il “sistema di IA” definendolo come “un sistema automatizzato progettato per funzionare con livelli di autonomia variabili e che può presentare adattabilità dopo la diffusione e che, per obiettivi espliciti o impliciti, deduce dall’input che riceve come generare output quali previsioni, contenuti, raccomandazioni o decisioni che possono influenzare ambienti fisici o virtuali”.
L’intelligenza artificiale si trova oggi in una fase di straordinario sviluppo, imponendosi con crescita esponenziale come vero e proprio catalizzatore di cambiamento del modo in cui viviamo, lavoriamo e interagiamo tra di noi e con il mondo che ci circonda.
La definizione che a livello europeo è stata scelta – sempre limitatamente agli obiettivi del Regolamento – va letta avendo ben presente il rapporto di complementarità di questa disciplina con altra normativa UE in materia di protezione dei dati, tutela dei consumatori, diritti fondamentali, occupazione e protezione dei lavoratori, sicurezza dei prodotti e rispetto della vita privata e familiare.
L’AI Act è il primo passo in una direzione più tecnico-giuridica nell’approccio a tale materia, ma la definizione che ne esce non è l’unica con la quale possiamo dare significato all’acronimo IA (intelligenza artificiale).
Nella comunità scientifica l’intelligenza artificiale è definita da tempo come “una disciplina scientifica che mira a definire e sviluppare programmi e macchine (software e/o hardware) che mostrano un comportamento intelligente se fosse esibito da un essere umano” (F. Rossi, 2019).
Il che non significa che la macchina sia per forza intelligente ma che la macchina (per come è programmata) è in grado di eseguire un compito in modo altrettanto buono, se non migliore, rispetto a quello che potrebbe essere prodotto dall’intelligenza umana (L. Floridi, 2022).
Si tratta di un passaggio fondamentale per capire l’evoluzione tecnica degli ultimi anni e lo sviluppo dei sistemi di intelligenza artificiale di tipo generativo. Si afferma, infatti, che “oggi l’IA scinde la risoluzione efficace dei problemi e l’esecuzione corretta dei compiti dal comportamento intelligente, ed è proprio grazie a tale scissione che può incessantemente colonizzare lo spazio sterminato di problemi e compiti, ogni volta che questi possono essere conseguiti senza comprensione, consapevolezza, acume, sensibilità, preoccupazioni, sensazioni, intuizioni, semantica, esperienza, bio-incorporazione, significato, persino saggezza e ogni altro ingrediente che contribuisca a creare l’intelligenza umana” (L. Floridi, 2022).
Se si è d’accordo su queste premesse è possibile comprendere meglio il contesto ordinamentale che si sta costruendo attorno a quell’ampia famiglia di tecnologie – accomunate sotto il cappello di intelligenza artificiale – che saranno chiamate a realizzare un’ampia gamma di obiettivi in ambito economico, ambientale, sanitario, commerciale, professionale, giudiziario, amministrativo, sociale, agrario e così via.
Una prima linea di indirizzo in questa direzione – elaborata con lo scopo di aiutare il Governo nella elaborazione e approvazione della normativa italiana – è costituita dalla Strategia italiana per l’Intelligenza Artificiale pubblicata dall’Agenzia per l’Italia Digitale (AGID).
Il documento, che scaturisce anche dalla consapevolezza del ruolo tecnico e scientifico che l’Italia ha già in questa materia, si preoccupa a tal fine di individuare le direttrici per uno sviluppo dell’intelligenza artificiale che integri i diversi ambiti che avranno un impatto fondamentale anche dal punto di vista della definizione di nuovi paradigmi di organizzazione del lavoro.
A tal fine identifica quattro macroaree all’interno delle quali individua specifici obiettivi strategici:
Se con riferimento alle aree della ricerca e della pubblica amministrazione gli obiettivi sono prevalentemente incentrati sul potenziamento degli investimenti e sull’efficientamento dei processi, saranno invece le aree relative alle imprese e alla formazione quelle che avranno una maggiore rilevanza sul piano organizzativo.
Si fa riferimento, in particolare, alla necessità di agevolare e rendere effettivo lo sviluppo delle imprese, anche di quelle più piccole, tenendo conto delle barriere di competenze e infrastrutturali che ostacolano la diffusione delle nuove tecnologie.
In questo contesto particolare attenzione riveste la formazione del personale, la creazione di sinergie con il mondo accademico e con quello della ricerca, così come la promozione di una formazione di qualità, allineata alle nuove competenze richieste proprio dalle sfide imposte dall’intelligenza artificiale.
Si tratta di obiettivi che hanno lo scopo di creare quel substrato fondamentale di regole utili ad accompagnare le trasformazioni che ci attendono. Trasformazioni dalle quali nasceranno anche i principi regolatori di una nuova organizzazione del lavoro.
Nuova organizzazione del lavoro che sarà il risultato dell’effetto sostitutivo di molte attività operato dai sistemi di intelligenza artificiale, ma anche della nascita di nuovi lavori (v. CNEL Intelligenza Artificiale e Mercati del lavoro – Quaderno n. 21/2024).
Avendo ben presente proprio la premessa di cui abbiamo parlato, ossia che l’intelligenza computazionale o generativa manifestata dall’algoritmo non ha niente a che vedere con l’intelligenza umana.
Mentre diverrà fondamentale la complementarità di queste due componenti. A patto di aver sapientemente costruito sulle competenze (tecniche e di soft skills) e sui valori dell’organizzazione, con uno sguardo fondamentale al benessere delle persone.
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