Lavoro nel 2025: dati, obiettivi, sfide

lavoro nel 2025

Come di consueto, con l’inizio del nuovo anno ci piace fare bilanci valutando il contesto in cui parliamo di lavoro e le prospettive di sviluppo della sua organizzazione

I dati sull’occupazione 

Un primo doveroso sguardo sull’occupazione (ISTAT). Anche quest’anno i dati sull’occupazione sono positivi: il numero di occupati è tornato a crescere (+47mila unità), attestandosi a 24.092.000 unità; l’aumento ha coinvolto i dipendenti permanenti – che salgono a 16.210.000 – e gli autonomi, pari a 5.158.000. I lavoratori con contratto a termine sono invece scesi a 2.724.000.

I dati ci dicono anche che la crescita dell’occupazione che si è registrata rispetto a ottobre 2023 (+363 mila occupati), costituisce la sintesi dell’aumento tra i dipendenti permanenti (+449 mila) gli autonomi (+127 mila) a fronte del calo tra i lavoratori a termine (-212 mila).

L’aumento ha coinvolto uomini, donne, 25-34enni e ultracinquantenni. A ottobre 2024 il numero di occupati ha superato quello di ottobre 2023 dell’1,5% (+363 mila unità appunto). 

Significativo, invece, che il numero di occupati sia rimasto sostanzialmente stabile – come per lo scorso anno – nella fascia di età 35-49 anni, mentre sia diminuito nella fascia di età 15-24 anni. Cosa ci dicono ancora questi dati?

Giovani e formazione

Tra i dati forniti, emergono due aspetti rilevanti: l’aumento dei lavoratori autonomi e la diminuzione dell’occupazione nella fascia di età 15-24 anni. Questi fenomeni, se analizzati insieme, potrebbero indicare una migrazione costante dei giovani verso il lavoro autonomo. Si tratta di una fascia della popolazione che, rispetto alle generazioni precedenti, sembra meno interessata al posto fisso, preferendo investire il proprio impegno in forme di lavoro indipendente, forse anche per un cambio di prospettive e valori rispetto a genitori e nonni.

Tuttavia, i dati suggeriscono un altro aspetto critico: una parte di questa fascia di popolazione potrebbe essere composta da soggetti inattivi a causa dell’abbandono scolastico. Secondo i dati ISTAT pubblicati a luglio 2024, nel 2023 la percentuale di 18-24enni con solo un titolo di studio secondario inferiore e non più inseriti in percorsi di istruzione o formazione è stata del 10,5%, in calo di un punto percentuale rispetto al 2022, ma comunque significativa. Cosa vuol dire?

L’importanza della formazione terziaria

Nonostante i progressi registrati negli ultimi anni, il valore dell’abbandono scolastico in Italia rimane tra i più alti d’Europa. La media europea è pari al 9,5%, mentre in Italia, nel 2023, il tasso si è attestato al 10,5%. Questo risultato colloca l’Italia quint’ultima tra i Paesi dell’UE, con valori inferiori solo a quelli di Romania, Spagna, Germania e Ungheria. Il fenomeno è più frequente tra i ragazzi (13,1%) rispetto alle ragazze (7,6%).

La mancanza di un’adeguata formazione – seguita da un percorso di istruzione superiore o terziaria – rende difficile trovare un’occupazione e ancor più avviare un’attività di lavoro autonomo in modo proficuo e duraturo. Sebbene la quota di giovani adulti italiani in possesso di un titolo di studio terziario sia leggermente cresciuta nel 2023, raggiungendo il 30,6%, questo valore è ancora lontano dall’obiettivo europeo del 45% e significativamente inferiore alla media europea del 43,1%.

In confronto ad altri grandi Paesi europei, l’Italia rimane indietro: Francia e Spagna hanno già superato il 50% (rispettivamente 51,9% e 52,0%), mentre la Germania è al 38,4%, pur registrando una crescita.

La sofferenza della formazione tecnico-scientifica 

In un mondo che sta affrontando la sfida tecnologica dell’Intelligenza Artificiale, la formazione terziaria e, in particolare, quella nelle materie tecnico-scientifiche (STEM), è oggi un requisito fondamentale non solo per entrare nel mondo del lavoro, ma anche per restare competitivi e attivi.

Per i più giovani, il problema è legato sia alla scelta sia al genere: nel 2023, solo il 25,0% dei giovani tra i 25 e i 34 anni con un titolo terziario aveva una laurea in discipline scientifiche e tecnologiche. Questo dato nasconde una significativa differenza di genere: la quota sale al 37,0% tra gli uomini (+2,5 punti percentuali rispetto al 2022), mentre scende al 16,8% tra le donne, un dato stabile rispetto all’anno precedente.

Per la popolazione più anziana, il problema è invece quello della riqualificazione professionale. Diventa essenziale pianificare percorsi di aggiornamento continuo (upskilling) per mantenere la propria competitività nel mercato del lavoro.

In questo contesto, è particolarmente utile il rifinanziamento del Fondo nuove competenze, previsto dall’articolo 88 del D.L. n. 34/2020 (convertito in L. n. 77/2020) e attuato con il Decreto del Ministero del Lavoro del 10 ottobre 2024. Questo strumento, attraverso il coinvolgimento dei Fondi interprofessionali e delle parti sociali, finanzia percorsi di qualificazione e riqualificazione delle competenze dei lavoratori durante l’orario di lavoro, rappresentando un’opportunità cruciale per affrontare le sfide poste dalla trasformazione tecnologica.

Ma quali le aree nelle quali sarà necessario investire di più?

Un ruolo centrale è ricoperto dall’Intelligenza Artificiale. Nel contesto del nuovo AI Act (Regolamento UE 2024/1689), la Strategia italiana per l’Intelligenza Artificiale mira a favorire lo sviluppo delle imprese, incluse quelle più piccole, superando le barriere legate alle competenze e alle infrastrutture che attualmente ostacolano la diffusione delle nuove tecnologie in questo settore.

Un’attenzione particolare è dedicata alla formazione del personale, alla creazione di sinergie con il mondo accademico e della ricerca, e alla promozione di una formazione di qualità, in linea con le nuove competenze richieste dalle sfide dell’Intelligenza Artificiale.

Questi obiettivi puntano a costruire un sistema integrato di regole per accompagnare le trasformazioni in atto, identificando i principi etici fondamentali su cui basare la nuova organizzazione del lavoro. Questo approccio è essenziale per affrontare i cambiamenti tecnologici in modo responsabile ed equo, favorendo l’innovazione senza perdere di vista i valori fondamentali.

Investire senza trascurare la sostenibilità 

La nuova organizzazione del lavoro dovrà basarsi su un equilibrato bilanciamento di interessi, ponendo al centro il benessere e la sostenibilità. Quest’ultima non si limita a un concetto generico, ma rappresenta la costruzione di una vera e propria catena del valore, fondata su una gestione integrata in ottica ESG (ambientale, sociale e di governance) di tutti i 17 obiettivi dell’Agenda 2030.

Per dare concretezza a questi principi, sarà fondamentale avvalersi degli strumenti normativi messi a disposizione dalla legislazione comunitaria, così da affrontare le sfide in modo efficace e favorire uno sviluppo a lungo termine. Questo rappresenta il più importante lascito delle generazioni attuali a quelle future, andando oltre le scadenze immediate, come la redazione del Bilancio di sostenibilità prevista a partire dal 2025.

Ogni obiettivo dell’Agenda 2030 dovrà diventare uno strumento etico per orientare la produzione, il lavoro e i comportamenti. L’obiettivo è quello di adottare una logica di salvaguardia dell’ambiente, delle risorse e della vita stessa sul pianeta, promuovendo un modello sostenibile che garantisca il futuro delle generazioni a venire.

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