Operatori call center: lavoratori autonomi o dipendenti?

(foto Shutterstock)

Gli elementi che svelano quando il rapporto ha natura di lavoro subordinato

IL FATTO

Una società si è rivolta al Giudice del lavoro chiedendo che venisse accertata l’insussistenza dell’obbligo a suo carico di versare i contributi previdenziali riferiti ad alcuni collaboratori.

In particolare, tali lavoratori svolgevano l’attività di operatori di call center e di gestione del sito web dell’azienda, finalizzato alla vendita online di occhiali.
La società in questione li aveva formalmente inquadrati come lavoratori autonomi e per questo motivo rifiutava di versare i contributi richiesti dall’INPS, che invece contestava la natura subordinata dei rapporti di collaborazione in oggetto.

Quali elementi rivelano l’esistenza di un vincolo di subordinazione tra datore e lavoratore?

LAVORO SUBORDINATO E LAVORO AUTONOMO

Secondo la legge è lavoratore subordinato chi si impegna, in cambio dello stipendio, a lavorare in modo continuativo, collaborando nell’impresa alle dipendenze e sotto il controllo e la direzione del datore (art. 2094 del Codice civile).
In generale, il dipendente deve quindi svolgere il proprio lavoro rispettando le indicazioni del datore riguardo le modalità di svolgimento, il tempo e il luogo della prestazione.

Il lavoratore autonomo invece si impegna, in cambio di un corrispettivo, a compiere un’opera o un servizio, con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti di chi glielo chiede (art. 2222 del Codice civile).
Quando è autonomo, dunque, il lavoratore decide in maniera indipendente le modalità, il luogo e gli orari della propria attività; in genere il suo unico obbligo è di raggiungere il risultato concordato con il cliente.

È importante sottolineare che solo per i lavoratori subordinati la legge ha previsto la maggior parte delle tutele che caratterizzano il rapporto di lavoro, come la durata massima dell’orario di lavoro, l’indennità di malattia, permessi e ferie retribuiti.
Anche per quanto riguarda il versamento dei contributi previdenziali c’è una netta differenza: una parte consistente dei contributi del dipendente sono pagati dal datore di lavoro, mentre il lavoratore autonomo deve pagarseli tutti da solo. 

LA PRONUNCIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE

La Cassazione, nel caso in questione, ha sottolineato come esistessero alcuni elementi capaci di rivelare la natura subordinata del rapporto di lavoro, al di là di quanto formalmente indicato nel contratto.

L’oggetto della collaborazione, infatti, era individuato in modo generico e non individuava una specifica opera o servizio.
Inoltre, il lavoro era svolto presso la sede aziendale con strumenti propri della società e la retribuzione era determinata in misura fissa, cioè in assenza di un rischio economico per i lavoratori.
In più, i lavoratori venivano di volta in volta impiegati in diverse occupazioni secondo le esigenze della società, risultando così inseriti in modo stabile nell’organizzazione imprenditoriale dell’azienda con la possibilità per il datore di controllare il contenuto e le modalità di svolgimento della loro attività.

Sulla base di tali elementi, la Cassazione ha confermato la natura subordinata del rapporto di lavoro e il conseguente obbligo per la società ricorrente di versare i contributi previdenziali per i collaboratori (Ordinanza n. 16037/2019).

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