Il lavoratore può cedere una quota del proprio stipendio per ripagare un prestito. Quali requisiti sono necessari? Ci sono dei limiti di durata della cessione?
La cessione del quinto dello stipendio è un modo con cui un lavoratore estingue un proprio debito. Ciò avviene quando il lavoratore chiede un prestito a un istituto finanziario, offrendo di ripagarlo attraverso una quota fissa dello stipendio dovutogli dal datore di lavoro.
Il lavoratore può cedere una quota della propria retribuzione – che non può eccedere un quinto dello stipendio netto mensile – nonché l’intero trattamento di fine rapporto (TFR), che gli istituti finanziari normalmente chiedono di vincolare a garanzia del rientro del prestito, qualora il rapporto di lavoro cessi prima che il debito sia stato estinto.
Il lavoratore deve essere titolare di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, anche parziale, o di un rapporto di lavoro parasubordinato (co.co.co, agenti e rappresentanti di commercio) e percepire uno stipendio fisso e continuativo.
Se il lavoratore ha un rapporto di lavoro a tempo determinato, potrà stipulare una cessione solo se questa ha una durata pari o inferiore a quella del rapporto di lavoro.
Non può cedere lo stipendio il lavoratore:
Il lavoratore a tempo indeterminato non può stipulare cessioni di durata superiore a 10 anni.
Il lavoratore a tempo determinato non può stipulare cessioni la cui durata superi quella del rapporto di lavoro.
Il lavoratore a cui mancano meno di 10 anni alla pensione non può stipulare cessioni di durata superiore al tempo residuo per l’accesso alla pensione.
Il lavoratore parasubordinato non può stipulare una cessione la cui durata ecceda la data di scadenza del contratto.
Dal momento in cui riceve la notifica della cessione, il datore di lavoro è obbligato a eseguire una trattenuta sullo stipendio corrispondente alla quota fissa ceduta, indicata nell’atto di cessione. Le quote trattenute devono essere versate dal datore all’istituto finanziario entro il mese successivo a quello cui si riferiscono.
Nel caso in cui il lavoratore subisca una riduzione di stipendio superiore a un terzo, il datore di lavoro è tenuto a comunicarlo all’istituto finanziario, e a riproporzionare la quota ceduta.
Se il rapporto di lavoro cessa prima che sia ripagato il prestito, il datore di lavoro deve darne comunicazione all’istituto finanziario, il quale invia una comunicazione che attesta il debito residuo dovuto (cosiddetto “conto estintivo”). Il datore di lavoro eseguirà inoltre la trattenuta della quota fissa e del TFR fino alla concorrenza del debito residuo indicato. In genere i contratti di cessione stabiliscono che “ogni altra indennità” o “somma” versata in conseguenza della cessazione del rapporto debba essere trattenuta e versata all’istituto finanziario, sino alla concorrenza del debito residuo.
In presenza di una cessione dello stipendio non si può stipulare una seconda cessione, salvo che la somma sia diretta a estinguere la cessione precedente.
Per fare ciò devono essere rispettati determinati tempi:
Lo stipendio può essere contemporaneamente oggetto di una cessione e di uno o più pignoramenti, purché nel limite complessivo della metà dello stipendio stesso.
Se lo stipendio è gravato da una cessione e viene successivamente notificato un pignoramento, la quota pignorabile non potrà eccedere la differenza tra la metà della retribuzione e la quota già oggetto di cessione, fermo restando il limite del un quinto.
Se, invece, lo stipendio è gravato da un pignoramento e successivamente viene notificata una cessione, la quota cedibile non potrà eccedere la differenza di due quinti della retribuzione e la quota oggetto di pignoramento, fermo restando il limite di un quinto.
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