Salario minimo: lavoratori italiani che ne beneficerebbero

img. 1: "Lavoratore del settore agricolo"
(foto Shutterstock)

Con il voto europeo a favore della direttiva sul salario minimo torna d'attualità il ddl Catalfo, all'esame della Commissione lavoro del Senato

Non meno di 9 euro per un’ora di lavoro, in qualsiasi categoria. In estrema sintesi è quanto chiede il ddl presentato nel 2021 dall’ex Ministro del Lavoro, la senatrice Nunzia Catalfo del Movimento 5 Stelle.

La legge sul «salario minimo», all’esame della Commissione lavoro del Senato e di recente oggetto di una direttiva europea, rimane un miraggio per tanti italiani che in base agli indicatori dell’UE rientrano tra i cosiddetti «lavoratori poveri». Sono impiegati per lo più nell’agricoltura, nei pubblici esercizi, nell’abbigliamento, nella ristorazione, nel turismo, nei servizi di vigilanza oppure come lavoratori domestici.

Il disegno di legge Catalfo

Lo scorso 10 maggio è ripreso l’iter parlamentare del ddl Catalfo. Una proposta legislativa che chiede il riconoscimento di una retribuzione complessiva non inferiore a 9 euro l’ora lordi, nei contratti di tutti i lavoratori.

Oltre al pressing parlamentare, anche l’inflazione in crescita sta alimentando il dibattito politico ed economico sulla necessità di un allineamento salariale che permetta ai lavoratori italiani di far fronte a un maggiore costo della vita.

Il ddl apre la strada a una detassazione degli aumenti contrattuali con cui rafforzare la contrattazione, oltre che i salari. Una questione che la scorsa settimana ha suscitato polemiche tra il leader di Confindustria, Carlo Bonomi, e il ministro del Lavoro, Andrea Orlando, e che crea distinguo e divisioni anche tra i partiti che sostengono il governo Draghi.

La recente direttiva dell’Unione Europea

Il 7 giugno Parlamento Europeo, Commissione e Paesi membri dell’Unione Europea hanno approvato la bozza della direttiva per adeguare il salario minimo in tutti i Paesi membri. Si tratta del primo passo concreto verso l’approvazione definitiva, che dovrebbe arrivare nei prossimi giorni.

In base all’accordo politico di massima raggiunto a Strasburgo, gli Stati resteranno liberi di legiferare internamente su questo argomento. La direttiva, infatti, stabilisce i criteri per assicurare dei minimi salariali sopra la soglia della sopravvivenza, tenendo conto del costo della vita e del potere d’acquisto in ogni Paese dell’Unione.

Gli aggiornamenti del salario minimo dovranno avvenire ogni due anni, ogni quattro per quegli Stati in cui è in vigore un meccanismo di indicizzazione automatico. Il tutto con il coinvolgimento delle parti sociali.

Oltre a fissare un salario minimo per legge, la direttiva europea punta a estendere anche la contrattazione collettiva in quegli Stati dove è più debole, con l’obiettivo di raggiungere una copertura dell’80%.

I lavoratori italiani che aspirano al salario minimo

In Italia il 20% dei lavoratori del settore privato è pagato meno di 9 euro lordi all’ora. Tra gli operai agricoli questa percentuale sale al 35% e addirittura al 90% per i lavoratori domestici. Nel nostro Paese il 30% del totale dei lavoratori guadagna sotto questo limite che il disegno di legge in discussione vorrebbe fissare come soglia minima. Si tratta di circa 4,6 milioni di persone.

Tra di esse, oltre a badanti, colf, braccianti e altri addetti del settore agricolo, compaiono molte altre categorie. In base ai contratti collettivi più applicati, alcune categorie soffrono pesantemente l’attuale situazione retributiva. Basti pensare a chi lavora nella vigilanza e nel controllo fiduciario, con un contratto il cui minimo salariale è fissato tra 4,60 e 6 euro l’ora, oppure per le imprese di pulizia (6,52 euro) o nei servizi socio-assistenziali (6,68 euro).

Appena sopra i 7 euro troviamo i dipendenti del settore abbigliamento (7,09), della ristorazione collettiva e commerciale o delle aziende di pubblici esercizi (7,28), ma anche i numerosi lavoratori del settore turismo, che hanno un trattamento orario minimo di 7,48 euro.

A essere coinvolti da un miglioramento salariale ci potrebbero essere poi i rider, la cui attività, in base a diverse sentenze e secondo le intenzioni dell’UE, va equiparata al lavoro dipendente. Per loro, al momento, nel migliore dei casi, la paga oraria è di 8,5 euro, tutto compreso.

Rimarranno fuori dal ddl sul salario minimo i lavoratori autonomi, le partite Iva e i professionisti. Per questi l’unica prospettiva sarebbe ottenere, categoria per categoria, degli accordi di “equo compenso” per fissare dei minimi tabellari a seconda della prestazione professionale.

Il salario minimo nei paesi UE

Insieme a Svezia, Finlandia, Danimarca, Austria e parzialmente Cipro, l’Italia è uno dei pochi Paesi UE senza una normativa sul salario minimo.

L’entità del salario minimo cambia notevolmente a seconda delle economie nazionali. Il range va dai 332 euro al mese della Bulgaria ai 2.202 garantiti in Lussemburgo. Si oscilla cioè tra 1,87 e 12,38 euro l’ora.

Attualmente sono otto gli Stati dove i lavoratori guadagnano per legge almeno mille euro: Slovenia (1.074 euro), Spagna (1.126 euro), Francia (1.603 euro), Germania (1.621 euro), Belgio (1.658), Paesi Bassi (1.725 euro) e Irlanda (1.775 euro).

Se il ddl Catalfo diventasse legge, l’Italia con il minimo fissato a 9 euro si attesterebbe al settimo posto tra i Paesi UE per paga oraria e di poco alle spalle del Regno Unito post Brexit, dove il salario minimo legale corrisponde a 9,35 euro.

Lavoratori poveri: sono troppi e l’UE vuole rimediare

Dai dati Eurostat elaborati da openpolis.it è possibile farsi un’idea sulle dimensioni di un fenomeno preoccupante per l’economia europea: come quello dei lavoratori in condizioni di povertà.

La stessa Ursula von der Leyen lo ha indicato come una fonte di disparità evidente, in contrasto con i valori fondanti dell’UE, tra i quali figura il diritto a standard di vita dignitosi. La presidente della Commissione Europea ha rilanciato anche su Twitter l’importanza della nuova direttiva, per “tutelare la dignità del lavoro e fare in modo che il lavoro paghi”.

Complessivamente, la quota di lavoratori italiani in condizioni di povertà si attesta all’11,8%, al quarto posto nell’Unione Europea. Considerando che i dati Istat di maggio hanno registrato una crescita del numero degli occupati, tornati a superare i 23 milioni di individui, significa che più di 2.700.000 persone, pur lavorando non riescono ad assicurare a se stessi e alle loro famiglie condizioni materiali dignitose.

In questa poco allettante classifica, al comando c’è la Romania con il 15,4% di lavoratori la cui paga è insufficiente ad assicurare un adeguato tenore di vita, seguita da Spagna (12,8%), Lussemburgo (12%) e appunto l’Italia con l’11,8%. La quota più bassa si registra invece in Finlandia (2,9%).

 

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