Per affrontare la nuova dimensione del tempo nell’organizzazione del lavoro non serve la legge ma un cambiamento culturale
Quanto conta oggi la qualità – più che la quantità – del tempo che trascorriamo nello svolgimento di un’attività lavorativa e di un compito? Quanto sono efficaci gli strumenti a disposizione per la gestione e misurazione di quell’attività? E quanto siamo consapevoli della relazione tra il tempo che dedichiamo al lavoro e il nostro stato psico-fisico?
Tutte domande che sono diventate essenziali e alle quali le organizzazioni devono oggi saper rispondere in modo concreto. Perché in un mondo sempre più complesso e costantemente connesso, in cui è essenziale essere in grado di gestire rapidamente una quantità di dati e di informazioni sempre crescenti, dando risposte rapide, coerenti e puntuali in tutti i campi – tecnico, produttivo, commerciale, fino a quello professionale o amministrativo – il tempo “fugge”.
Cresce così il timore di trasformare la giornata lavorativa in una lotta contro il tempo oppure la sensazione di “non avere fatto abbastanza”. Timori che rischiano di falsare la percezione dell’apporto qualitativo che ciascuno può dare in termini di efficacia e produttività.
Se oggi si discute di lavoro ibrido (una realtà per 5 lavoratori su 10 in base ad una recente ricerca Gallup), di evoluzione dei modelli di organizzazione del lavoro, di flessibilità nell’organizzazione del lavoro, è necessario essere consapevoli dello stretto nesso esistente tra la quantità di tempo che viene dedicato al lavoro e la sua corretta misurazione in termini qualitativi.
Se la dimensione normativa dell’orario di lavoro è il presupposto per determinare a fini amministrativi e contrattuali i parametri della retribuzione base di riferimento per ciascun settore – al di là delle implicazioni politiche che derivano dall’attuale discussione sul progetto di legge sul salario minimo – la sua dimensione qualitativa costituisce invece il presupposto per valutarne l’efficacia, anche in termini di cultura organizzativa.
La mappatura dei processi di lavoro all’interno di un’organizzazione consistente nell’esatta valutazione e misurazione delle ore necessarie per ogni tipologia di attività ed è un esercizio fondamentale che fornisce il primo parametro sull’efficacia individuale e dell’organizzazione.
Per comprendere il valore di questa attività è possibile guardare ad esempio a quanto viene fatto di solito in sede di stipulazione di un contratto di appalto di servizi, al fine di comprendere ad esempio se il corrispettivo (a corpo oppure in base a parametro delle ore/uomo) per una determinata attività di servizi è determinato in modo corretto.
In questo modo, la produttività diventa in pratica un parametro di misurazione dell’efficacia del lavoro dal punto di vista temporale. Un’attività è svolta in termini produttivi se le ore contrattuali di lavoro – ossia le ore che si pagano al lavoratore sulla base dei parametri previsti dalla contrattazione collettiva di riferimento – sono allocate in modo ottimale per coprire le ore effettive di lavoro – ossia il tempo necessario a svolgere concretamente una determinata attività – e sono corrette anche rispetto alle ore teoriche – ossia il tempo previsto in astratto per una determinata attività.
Ma la gestione del tempo all’interno delle organizzazioni non è fatta solo dal tempo di lavoro, ossia dall’orario di lavoro in senso stretto e dalla relazione appena vista con la sua efficacia in termini produttivi. All’interno dell’organizzazione del lavoro entra oggi in gioco un altro fattore fondamentale. Si tratta del tempo di non lavoro.
Se, infatti, come detto in premessa, per misurare la produttività è necessario tenere conto non solo della quantità di lavoro ma anche della sua qualità, diventa essenziale anche la capacità di gestire l’interazione tra tempo di lavoro e tempo di non lavoro.
In un mondo che ha finalmente sdoganato il lavoro da remoto e il vero lavoro ibrido, in cui la dimensione del controllo sulla qualità (e non solo sulla quantità) del lavoro prodotto è alimentata anche dalle capacità manageriali e di leadership, la capacità di gestire e di governare dall’interno il tempo di non lavoro diventa una questione non più solo individuale ma dell’intera organizzazione.
Non è dalla pedante osservazione e misurazione dell’orario di lavoro e del tempo necessario a svolgere un determinato compito che si arriva all’efficienza, ma dalla capacità di valutare, misurare ed eventualmente correggere il risultato di quell’attività.
Perché è conoscendo e usando consapevolmente gli strumenti necessari ad assicurare efficacia individuale anche attraverso i tempi di non lavoro che si favorisce anche l’efficienza dell’intera organizzazione e si influisce positivamente sulla produttività.
E quali sono gli strumenti che favoriscono una migliore gestione dei tempi di lavoro e di non lavoro? Innanzitutto, quelli che favoriscono e promuovono una maggiore consapevolezza tra lavoratori e management dell’importanza di ciò che in psicologia del lavoro viene definito come recovery (Cortese, Argentero, 2022).
Si tratta del tempo dedicato al recupero delle energie psicofisiche che oggi proprio grazie al lavoro ibrido è possibile attuare armonizzando (ma non solo) tempi di lavoro e tempi di non lavoro, mantenendo in equilibrio demands e resources con strumenti concreti.
Tempi di connessione, momenti di concentrazione (evitando multitasking e distrazioni), lavoro in presenza, tempi di disconnessione, rispetto delle pause e sana alimentazione, rispetto per la propria salute e attività sportiva oppure impegno durante il tempo libero in hobby e attività che siano del tutto svincolati dal lavoro.
È questo il significato più profondo che possiamo attribuire alla gestione del tempo negli ambienti di lavoro. Ma anche la premessa sulla quale costruire in concreto una nuova cultura del lavoro.
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