Si fa strada con insistenza un certo tipo di racconto sull’Italia che non fa onore al nostro paese. È arrivato il momento di raccontare la realtà
Da un po’ di tempo, da ben prima della pandemia, si assiste a un generale racconto dell’Italia come di un paese pieno di criticità, di furberie, di difficoltà strutturali. Ma si tratta di un racconto forzato dalla forza dell’abitudine. È molto più facile lamentarsi che andare a vedere su quali basi è possibile raccontare in modo positivo la realtà del nostro paese.
Certamente non è tutto rose e fiori, alcune difficoltà sono reali: si pensi all’oggettiva mancanza di figure specializzate che affligge il mondo delle imprese, alle carenze nell’occupazione femminile, alle criticità legate ai ritardi nella digitalizzazione della pubblica amministrazione e, quindi, all’eccessiva burocrazia che imbriglia molti settori. Ancora, alle difficoltà legate alla produttività, che trascinano i salari verso il basso. Ma è arrivato il momento di avviare anche un altro racconto.
Il racconto di un paese che è invidiato da tutto il mondo per bellezze artistiche, culturali e paesaggistiche. Che vanta eccellenze nel settore turistico e agro-alimentare difficilmente eguagliabili dagli altri paesi europei.
Il settore agro-alimentare, ad esempio, genera da solo oltre la metà del valore della produzione e dell’occupazione, portando l’Italia a posizionarsi ai primi posti in Europa (dati Eurostat).
L’ultima nota ISTAT di censimento del settore agricolo diffusa a settembre 2022 dice che i capo azienda giovani tendono a guidare particolari tipologie di aziende, fortemente caratterizzate da alcuni fattori identificativi e innovativi.
Sono soprattutto aziende più grandi della media, con terreni in affitto e non di proprietà, con almeno un’attività connessa, orientate alla pratica biologica e alla commercializzazione dei prodotti aziendali. Aziende estremamente digitalizzate – le aziende informatizzate dei giovani sono il 33,6% contro il 14,0% dei non giovani – e innovative – il 24,4% dei giovani ha realizzato innovazioni contro il 9,7% dei non giovani.
Ci sono campi della formazione dove è altrettanto rilevante la spinta verso l’innovazione. Sono più di 200, in Italia, i corsi di laurea triennale e magistrale orientati alla sostenibilità e al green. Dalle Biotecnologie per lo sviluppo green alle Scienze dell’habitat sostenibile, dall’Ingegneria energetica ai Sistemi agricoli innovativi.
L’Italia è inoltre meta di studio per molti giovani stranieri desiderosi di apprendere i segreti di quelle arti e di quei mestieri che, in alcuni settori, affondano le proprie radici nel Medioevo. Si pensi al calzaturiero, o al ricamo nella moda, ma anche alla cantieristica navale da diporto e al settore orafo, solo per fare qualche esempio.
L’Italia è un paese caratterizzato da un tessuto imprenditoriale unico, fatto di piccole e piccolissime aziende che sono il fiore all’occhiello di una storia artigiana che, con riguardo proprio ad alcuni settori, impartisce lezioni al resto del mondo.
CNA Veneto afferma, ad esempio, che a oggi sono 204 gli artigiani in Veneto che possono esporre il logo regionale di Maestro artigiano: tra di loro orefici, falegnami, maestri del vetro artistico, del marmo, o del tessile.
La figura del Maestro artigiano è stata istituita dalla Regione Veneto con l’obiettivo di promuovere la qualità dell’artigianato regionale, patrimonio di conoscenze ed esperienze – si legge nella nota stampa – da salvaguardare e trasmettere alle future generazioni, agevolando così la continuità di impresa e il passaggio generazionale.
Ma l’Italia è anche un paese nel quale la fantasia creativa e l’innovazione tecnologica sono non solo patrimonio culturale ma anche di ispirazione per le nuove generazioni per la creazione di start-up di successo.
Quando si parla di start-up non si può non pensare alla tecnologia, che è fattore abilitante e di crescita per tutte le generazioni e non va invece percepito – soprattutto dalle generazioni più anziane – come fattore di criticità.
Non è il caso di alimentare in questo campo atteggiamenti luddisti (da Ned Ludd, l’operaio che nel 1779 distrusse un telaio per protesta), ossia quella chiusura mentale verso il nuovo cui si deve l’origine del termine all’alba della rivoluzione industriale.
È invece necessario aprirsi al nuovo culturalmente, per fornire slancio proprio al racconto di un’Italia che sia negli ambiti più tradizionali che negli ambiti più nuovi non resta ferma, ma si spinge oltre i confini conosciuti e trova nuovi modi di fare impresa.
Nestlé, azienda sempre attenta all’innovazione che, con il progetto Fab-working, punta a adottare un nuovo modello di flessibilità organizzativa in cui l’ufficio diventa una risorsa complementare al lavoro da remoto, rappresentando la sede ideale per attività di co-progettazione, condivisione, collaborazione, socializzazione e team building.
Oppure Vedrai, start-up italiana di successo che opera nel campo dell’Intelligenza Artificiale e che promuove l’innovazione e l’engagement dall’interno. Come? Favorendo ad esempio la cultura dell’innovazione nel modo di pensare: “il 10% del tempo che le persone passano in azienda – dice Michele Grazioli, Presidente di Vedrai – finanziato investendo il 20% del budget, può essere dedicato a progetti non core”.
Bisognerebbe imparare a prendere esempio dagli stranieri che coltivano per anni il mito dell’Italia e che dopo aver soggiornato da noi per un po’ di tempo – per lavoro o per svago – diventano più bravi degli italiani a farsi ambasciatori delle eccellenze del nostro paese.
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