Quali sono le riflessioni dietro la scelta del legislatore di innalzare ancora una volta la soglia dei fringe benefit?
Anche per il 2024 il legislatore ha confermato l’innalzamento della soglia dei fringe benefitl’insieme dei vantaggi concessi dal datore di lavoro ai propri dipendenti come forma remunerativa complementare alla retribuzione principale (per es. auto a disposizione, borse di studio, viaggi premio, ecc.) More già disposto con la conversione in Legge del Decreto Lavoro 2023 (D.L. n. 48/2023). La Legge di Bilancio per il 2024 (art. 1 c. 16 e 17 L. n. 213/2023) ha voluto confermare l’innalzamento del limite di esenzione fiscale dei fringe benefit, ma sempre con un intervento limitato temporalmente – solo per il 2024 – e in deroga alle disposizioni dell’art. 51, c. 3 prima parte del TU delle imposte sui redditi (D.P.R. n. 917/1986). Con alcune differenze. La misura ricalca le agevolazioni degli ultimi anni del periodo pandemico e della crisi energetica, ma rispetto a quelle previsioni presenta profonde differenze che – seppure sanate rispetto a quanto previsto in precedenza – dal 2024 divengono strutturali soprattutto con riguardo ad una parte dei soggetti beneficiari.
La Legge di Bilancio prevede infatti che, limitatamente all’anno 2024, il valore dei beni ceduti e dei servizi prestati ai lavoratori dipendenti non concorre a formare il reddito da lavoro dipendente entro il limite complessivo di euro 1.000 per la generalità dei lavoratori e entro il limite di euro 2.000 per chi ha figli, compresi quelli nati fuori del matrimonio riconosciuti, i figli adottivi o affidati, che si trovano nelle condizioni previste dall’art. 12, c. 2 del TUIR (D.P.R. n. 917/1986), quindi a carico.
Rientrano anche le somme erogate o rimborsate ai medesimi lavoratori dai datori di lavoro per il pagamento delle utenze domestiche del servizio idrico integrato, dell’energia elettrica e del gas naturale, nonché – con carattere di novità per il 2024 – le spese per l’affitto della prima casa o per gli interessi sul mutuo relativo alla prima casa.
La previsione ha una valenza meno critica rispetto a quella scaturita dal decreto lavoro 2023, poiché prevede comunque l’innalzamento della soglia dei fringe benefit fino a 1.000 (rispetto al limite ordinario di euro 258,23 previsto dalla norma) per tutte le persone con un lavoro dipendente.
D’altro canto, la norma mantiene invece un trattamento di maggior favore nei confronti di coloro che hanno una posizione genitoriale o affidataria i quali vedono crescere la soglia di esenzione da 1.000 euro a 2.000 euro. Si tratta appunto dei beni e servizi in natura previsti dall’art. 51, comma 3, del TUIR, i quali in via ordinaria e in assenza delle deroghe in parola non sono assoggettati a tassazione (e a contribuzione) qualora il valore degli stessi abbia un valore complessivo inferiore a euro 258,23. Se il valore di questi beni e servizi dovesse superare per anno fiscale tale soglia sarebbe assoggettato a tassazione per l’intero importo.
La nuova norma rispecchia ancora una volta quell’operazione di mediazione tra la volontà di garantire una sorta di continuità (peraltro limitata temporalmente) alle misure approvate già a partire dal 2022 – strettamente legate alla crisi energetica, cui oggi si sommano le spese di locazione e gli interessi di mutuo della prima casa – e quella di prevedere delle agevolazioni più marcate per l’accesso ad alcuni beni e servizi in favore delle famiglie con figli.
In realtà però, seppure sia stata alzata la soglia di esenzione per tutti – sanando le limitazioni della norma del 2023 – ancora una volta si rischia di allontanarsi dai presupposti e dalla vera natura dei fringe benefit come generale misura di welfare privato.
Questo allontanamento è reso evidente dal mantenimento di alcune differenze di trattamento, che privilegiando chi ha già responsabilità genitoriali, lasciano aperti alcuni interrogativi sugli esclusi. Ad esempio, i giovani che devono invece iniziare a costruire la propria famiglia, un appuntamento che le nuove generazioni portano sempre più in là nel tempo, con tutte le implicazioni demografiche che ben conosciamo.
I benefit aziendali rientrano nell’ambito giuridico della “retribuzione variabile” perché sono, appunto, “benefici accessori” rispetto all’obbligazione retributiva principale prevista e disciplinata dall’art. 36 Cost. e dal Codice civile. Proprio in ragione di questa caratteristica, rispondono a esigenze diverse rispetto alla retribuzione: non sono corrispettivo della prestazione lavorativa, ma hanno più ampie finalità di natura sociale legate – soprattutto negli ultimi anni – a più ampi e generalizzati obiettivi organizzativi di benessere e di welfare.
Da tradizionale strumento di fidelizzazione del personale, spesso legati alle strenne natalizie – soprattutto negli anni 90 – sono diventati prima la testa di ponte per la sperimentazione delle prime forme di welfare datoriale (entro il limite degli originari euro 258,23) e, negli ultimi anni, lo strumento attraverso il quale l’organizzazione esprime i propri primari valori in termini di wellbeing aziendale.
Perché è su questi strumenti che si fondano le scelte etiche di base per tutta l’organizzazione, senza differenze in relazione alla tipologia dei beneficiari. Ed è quest’ultimo il loro valore primario. Si pensi ad esempio al buono per la spesa lanciato da Luxottica nel 2009, previsto su queste basi per tutti i collaboratori, senza distinzioni.
I fringe benefit si sono evoluti negli anni, passando da potenziale erogazione ad personam – quindi non necessariamente legati alla predisposizione di un vero e proprio piano di welfare – a strumento gestionale in grado di fornire in modo concreto i parametri per misurare il benessere dell’organizzazione. Perché espressione dell’attenzione che l’organizzazione dà ai bisogni individuali dei propri collaboratori.
Oggi sono in definitiva l’espressione più evidente delle forme di welfare unilaterale o datoriale, possibile in tutti i settori e a tutti i livelli – anche nelle microimprese – perché fondati sulla scelta volontaria del datore di lavoro di mettere a disposizione di tutti i propri collaboratori risorse economiche (in alcuni casi anche limitate) caratterizzate dalla fruizione diretta per tutti di un paniere di beni e servizi.
Quando le risorse a disposizione per beni e servizi possono essere non solo differenziate in termini economici – come gli ultimi provvedimenti hanno determinato – ma anche differenziate in ragione della sola condizione di essere o non essere ad esempio genitori, si inserisce tra i presupposti di questo importante strumento sociale un fattore di potenziale discriminazione, che allontana la scelta datoriale da quegli obiettivi di benessere diffuso che sono oggi il presupposto principale delle politiche di welfare su cui si fondano anche i fringe benefit 2024. Con potenziali ricadute anche sul principio di uguaglianza di matrice costituzionale.
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