Il percorso verso la sostenibilità si costruisce per gradi

percorso sostenibilità

Chiarito cosa si intende per sostenibilità, è necessario prendere in esame gli strumenti normativi che caratterizzano questo percorso verso la trasparenza

Quali sono gli strumenti normativi

Una volta introdotto il contesto ordinamentale entro il quale i principi ESG si sono sviluppati – dal Libro verde della Commissione europea del 2001 alla Dichiarazione finanziaria di sostenibilità (Direttiva UE n. 254/2014), fino alla risoluzione n. 70/1 Trasformare il nostro mondo: Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile è utile prendere in esame in modo più specifico la normativa comunitaria di riferimento.

I diversi paesi sono tenuti a conformarsi a questa normativa, nel quadro dell’applicazione di principi contabili uniformi. Il percorso seguito dal legislatore europeo, infatti, seppure sia stato graduale nella definizione dei principi guida per il corretto inquadramento dei nuovi obblighi, ha parallelamente dato una nuova e prospettica rilevanza, in termini di “valore”, anche ad una serie di strumenti già esistenti

Questi strumenti, seppure caratterizzati dal perseguimento di obiettivi specifici, diventano oggi, nel contesto di questi nuovi criteri contabili, strumenti normativi orientati agli obiettivi ESG, perché sono raggruppabili anche questi sotto il più ampio cappello del Bilancio di sostenibilità

Come la normativa rientra nel bilancio di sostenibilità

Si fa riferimento, in primo luogo al modello di organizzazione, gestione e controllo ex D.Lgs. n. 231/2001. L’affidabilità di un’impresa e di un’attività economica si costruisce oggi non solo in termini di legalità – secondo i meccanismi propri del modello 231 – ma anche avendo riguardo alla costruzione di regole di trasparenza, ossia processi, regole e comportamenti che, indipendentemente dal monitoraggio delle aree di responsabilità penale del modello 231, siano in grado di fornire una lineare e reale fotografia dell’organizzazione

Una fotografia che sia in grado di dare conto – in termini effettivi – del rispetto dei criteri e dei principi che sono ormai riconducibili ai tre diversi parametri degli obiettivi ESG: ambientali (Environmental), sociali (Social) e comportamentali (Governance). 

Ci sono altri strumenti normativi a disposizione?

In questo ambito può venire in considerazione anche altra e più specifica normativa – anch’essa di matrice comunitaria e non solo – utile a contestualizzare in chiave ESG la revisione dei modelli e dei codici etici

Ci si riferisce, ad esempio, tra i più recenti provvedimenti, alla Direttiva UE 2023/970 sulla trasparenza retributiva diretta a rafforzare l’applicazione del principio della parità di retribuzione tra uomini e donne, introducendo specifici obblighi di informazione in merito ai criteri utilizzati per la determinazione degli stipendi. 

Oppure alla Direttiva 2019/1158/UE sull’equilibrio tra attività professionale e vita familiare (attuata in Italia con il D.Lgs. n. 105/2022) che fissa alcuni fondamentali principi che legano tale disciplina con l’elaborazione dei KPI necessari per supportare il processo di Certificazione della parità di genere

Restando invece sul tema delle certificazioni, si pensi poi allo standard internazionale SA 8000 il cui scopo è quello di assicurare un controllo sulle condizioni di lavoro, soprattutto nelle realtà a forte intensità di lavoro e nelle filiere. 

Il ruolo del bilancio di sostenibilità

Se gli obiettivi di trasparenza in ambito finanziario hanno guidato la prima legislazione comunitaria, con la risoluzione del 29 maggio 2018 sulla finanza sostenibile il Parlamento europeo ha invece chiesto di sviluppare ulteriormente gli obblighi di rendicontazione delle informazioni di carattere non finanziario che erano già previsti dalla Direttiva 2013/34/UE. 

Nella sua risoluzione del 17 dicembre 2020 sul governo societario sostenibile, il Parlamento europeo ha accolto con favore l’impegno della Commissione a rivedere la direttiva 2013/34/UE ma, soprattutto, ha indicato la necessità di istituire un quadro globale dell’Unione in materia di rendicontazione non finanziaria (meglio definita poi come “rendicontazione di sostenibilità”), contenente norme obbligatorie uniformi. 

La Direttiva UE 2022/2464Corporate Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD) risponde proprio a questo obiettivo e mira al rafforzamento della reputazione aziendale secondo i parametri ESG, nel quadro peraltro dei principi di rendicontazione fissati dal Regolamento UE 2023/2772 entrato in vigore nel 2024. 

E cosa entra nella rendicontazione di sostenibilità?

Lo strumento è dunque uno strumento di rendicontazione che integra una serie di informazioni raggruppate sotto macro-temi nel rispetto degli standard definiti dallo European Financial Reporting Advisory Group (EFRAG), di volta in volta recepiti dalla Commissione UE. 

Questi toccano l’ambiente, quali ad esempio il benessere degli animali, la biodiversità e la prevenzione della deforestazione, il consumo di energia (Environmental), i diritti umani, la parità di genere, la non discriminazione, il benessere (Social) la leadership, lo sviluppo del personale, la formazione, (Governance). 

Lo strumento normativo più specifico in termini di CSRD è oggi proprio la Direttiva UE 2022/2464 del 14 dicembre 2022 che modifica il regolamento (UE) n. 537/2014, la direttiva 2004/109/CE, la direttiva 2006/43/CE e la direttiva 2013/34/UE per quanto riguarda la rendicontazione societaria di sostenibilità, attuata in Italia con il D.Lgs. n. 125/2024

La normativa comunitaria cui si conforma peraltro la disciplina interna di attuazione, si propone pertanto di raggruppare entro il quadro degli standard uniformi di rendicontazione, ambiti – a loro volta regolati da normativa specifica – ritenuti ormai essenziali dal punto di vista etico ed ai fini della trasparenza

Sono coinvolte le imprese europee di determinate dimensioni ma con un impatto rilevante su tutta la loro catena del valore e con coinvolgimento diretto (e indiretto) anche delle PMI.

Con quali obblighi e scadenze?

L’obbligo riguarda infatti le imprese di grandi dimensioni anche non quotate e le piccole e medie imprese quotate. Sono escluse le microimprese. In base al decreto di attuazione l’attività coinvolgerà le imprese con gradualità crescente, secondo le seguenti scadenze:

  • Dal 2025 enti di interesse pubblico anche società madri di un gruppo di grandi dimensioni che, alla data di chiusura del bilancio – e per i gruppi su base consolidata – superano il numero medio di 500 dipendenti;
  • Dal 2026 grandi imprese e organizzazioni madri di grandi dimensioni diverse dagli enti di interesse pubblico;
  • Dal 2027 PMI quotate, enti creditizi di piccole dimensioni e imprese assicurative e riassicurative;
  • Dal 2029 l’obbligo si estende alle filiali e alle succursali di grandi organizzazioni internazionali con la sede in paesi terzi che generano ricavi per prodotti e servizi nel territorio dell’Unione superiori a 150mil di euro.

 

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