A partire dal 2022 le aziende possono certificare il proprio impegno sulle politiche per la parità di genere. Procedure da affrontare, e benefici
Tra le novità legislative del 2022 c’è l’entrata in vigore della “certificazione sulla parità di genere”. A partire da gennaio dello scorso anno, infatti, le aziende con più di 50 dipendenti devono redigere un rapporto sulla parità di genere, che va poi inviato alle rappresentanze sindacali aziendali ogni due anni.
La legge nasce per attestare le politiche e le misure concrete adottate dai datori di lavoro per ridurre il divario di genere in relazione alle opportunità di crescita in azienda, alla parità salariale a parità di mansioni, alle politiche di gestione delle differenze di genere e alla tutela della maternità.
La norma, inoltre, introduce una nozione più ampia del concetto di discriminazione (es. anche orario di lavoro può essere discriminatorio).
Le aziende che si dimostrano virtuose ottenendo la certificazione possono beneficiare di incentivi in forma di sgravi fiscali, fino a 50 mila euro l’anno.
Vediamo più nel dettaglio quali sono i criteri per ottenere la certificazione, quali sono gli enti a cui rivolgersi e quali sono i benefici per le aziende certificate.
Il primo passo per ottenere la certificazione è rivolgersi a un ente certificatore: in Italia sono già più di 20. Per essere valida, la certificazione deve essere rilasciata esclusivamente da un ente accreditato da Accredia. Questo, infatti, è il nome dell’Ente Unico nazionale di accreditamento indicato dal Governo italiano, che ha il compito di attestare la competenza, l’indipendenza e l’imparzialità degli organismi di certificazione e verifica.
Accredia è un’associazione senza scopo di lucro che opera sotto la vigilanza del Ministero dello Sviluppo Economico. Tra i temi su cui Accredia concentra l’attenzione c’è quello della parità di genere, oggi più che mai al centro delle politiche aziendali e istituzionali.
L’azienda che intende certificarsi, dunque, deve superare un processo di audit organizzato da uno degli enti accreditati.
La valutazione riguarda sei aree di valutazione:
In più, la procedura indaga specifici KPI (Key Performance Indicator) e anche, più in generale, l’organizzazione dell’azienda e le politiche del lavoro messe in atto.
Difficile indicare un costo preciso, perché le variabili sono diverse. La buona notizia è che per le piccole, medie e micro imprese sono previsti contributi destinati appunto a sostenere le aziende in questa spesa.
I due contributi (già consultabili sul sito ministeriale) sono:
Anche le regioni si stanno muovendo per metterci del loro. La regione Lombardia, ad esempio, ha previsto due incentivi, tramite bando Unioncamere Lombardia, per un massimo di copertura dell’80% sul totale delle spese sostenute:
Le aziende che accettano di intraprendere il percorso di certificazione si mettono alla prova con un’importante opportunità: i benefici sono senz’altro in termini di employer branding, e in più lo Stato mette a disposizione, per chi supera la prova, anche alcuni incentivi economici.
Nel dettaglio, le aziende certificate hanno diritto a uno sgravio pari all’1% dei contributi, fino a un massimo di 50.000 euro annui. Inoltre, possono ottenere punteggi premiali extra nelle gare pubbliche.
Se le domande dovessero eccedere le risorse disponibili, il beneficio verrà ridotto proporzionalmente.
Anche in termini di employer branding, la certificazione sulla parità di genere può rappresentare un vantaggio per le aziende, portando grandi benefici alla reputazione e rendendole quindi più attraenti sul mercato del lavoro.
Se per lavoro ti occupi di definire politiche di parità di genere e di Diversity & Inclusion all’interno della tua azienda, sai bene quanto può essere lungo il percorso che porta alla certificazione.
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