Dalla mancanza di ambizione all’incompatibilità fra maternità e leadership: 8 pregiudizi che colpiscono le donne, come individuarli e perché sono infondati
Le donne non hanno ambizione e sono avverse al rischio, la maternità è incompatibile con posizioni di leadership e così anche il lavoro part time. Sono solo alcuni dei tanti pregiudizi che colpiscono le donne sul posto di lavoro: Mazars, società internazionale di audit e consulenza, nel suo report Myths and barriers preventing the progression of women, ne ha identificati 8.
La conclusione è che, più del numero di misure in favore della parità di genere che vengono adottate in azienda, è importante la qualità delle stesse. È quindi importante che le aziende affrontino di petto i pregiudizi persistenti e capiscano se stanno mettendo in atto le misure “giuste” per raggiungere un’equità di genere sostenibile.
Il legame tra la parità di genere e la sostenibilità è confermato dall’Agenda 2030 delle Nazioni Unite. Tra i Sustainable development goals (SDG) è infatti presente il numero 5 sull’uguaglianza di genere.
Le aziende che vogliono raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile sono quindi chiamate a essere protagoniste di un progresso culturale che ha tra i suoi punti fondamentali proprio l’equità di genere.
Vediamo, quindi, i principali pregiudizi individuati da Mazars.
L’idea di fondo è che, se una donna desidera avere successo al di fuori delle mura domestiche, questo sarà incompatibile con il ruolo che la società tradizionalmente le affida. In altre parole, carriera e maternità non vanno d’accordo.
Così, se per gli uomini l’ambizione è vista come una qualità, le donne rimangono impantanate nel senso di colpa, interiorizzando che il loro desiderio di crescita professionale sia inevitabilmente in conflitto con la loro identità in quanto donne e naturali tutrici della famiglia.
Una donna può fare tutto? Secondo il report di Mazars, la risposta più comune nelle società di tutto il mondo è ancora una sola: no. Eppure le donne rappresentano il 60% dei laureati di talento: l’innovazione manageriale è e sarà la chiave del progresso.
Spesso le esperienze di vita delle donne, come la maternità, vengono viste come un ostacolo per le imprese. Invece possono rappresentare un motore di innovazione se le aziende diventano capaci di valorizzare la vita delle persone a 360 gradi.
La maternità, in particolare, rappresenta un vero e proprio master che allena ogni giorno tantissime competenze utili anche nel mondo del lavoro. La crescita professionale delle donne sarebbe inoltre agevolata da un maggiore equilibrio e condivisione dei carichi di cura nella vita privata, oggi ancora troppo penalizzante per le donne.
Il confine con il pregiudizio numero uno è labile. Il primo riguarda più il fatto che le donne dovrebbero pensare alla famiglia e, di conseguenza, non avere ambizioni di carriera. Il secondo, invece, tocca la sfera organizzativa: la leadership è incompatibile con la maternità perché un leader non può assentarsi per molti mesi, “abbandonando” il suo team.
In realtà, spiega il report di Mazars, la maternità è un normale evento della vita che può essere ben gestito. Non solo, offre ai manager l’occasione per mettere in campo e migliorare diverse skill, imparando a gestire meglio la logistica dell’assenza e a comunicare con partecipazione emotiva.
Inoltre le donne (e in particolare le madri) incarnano un modello di leadership gentile e generativa che rappresenta un’innovazione rispetto ai classici sistemi di gestione delle persone progettati dagli uomini.
Finora le donne hanno dovuto adattarsi alle regole vigenti, ai modelli comportamentali e di leadership costruiti negli anni, che appartengono alla sfera maschile. La storia della specie umana insegna però che le donne sono più capaci di prendersi cura degli altri e di creare alleanze: un modello di caring leadership estremamente potente che può portare una nuova prospettiva nel mondo.
Ma non si tratta di aiutare le donne, piuttosto di aiutare il mondo attraverso le donne.
Fin da bambine, le donne sono mediamente più brave a scuola, raggiungono titoli di studio più alti e ottengono voti migliori lungo tutta la loro carriera di studio. In Italia, come anche in molti altri paesi europei, le laureate sono costantemente in numero maggiore rispetto ai laureati uomini. Eppure quando si entra nel mondo del lavoro qualcosa si spezza.
Improvvisamente le donne diventano invisibili. Questo, suggerisce Mazars, perché “mettiamo una lente sbagliata che alla fine conduce alla cecità”. Siamo talmente legati all’idea che in determinati ruoli ci vuole un uomo, che le candidate donne non le vediamo neanche più.
E questa incapacità di pescare a fondo nel mare di talenti che gli HR hanno a disposizione, impedisce di fatto di cogliere molte opportunità. I reclutatori, i datori di lavoro e i manager possono perdere la metà dei potenziali talenti, anche se in buona fede.
Le donne, inoltre, non si ritrovano nei modelli organizzativi imposti dalla società e spesso scelgono di non intraprendere alcune professioni perché il prezzo da pagare è troppo alto.
Nella metafora della corsa, le donne trovano più ostacoli sulla stessa pista su cui corrono gli uomini: è quindi necessario cambiare la pista perché sia più adeguata ad accogliere il diverso potenziale e la diversa visione di entrambi.
Gli studi sugli stereotipi di genere dimostrano che l’assunzione di rischi non dipende dal genere: in altre parole, donne e uomini corrono gli stessi rischi.
Perché, allora, si ritiene che le donne siano più caute e meno disposte ad andare controcorrente? Senza dubbio perché il rapporto con il rischio dipende dalla personalità, dall’istruzione e dalla cultura. Ma i costrutti sociali sono così profondamente radicati da diventare una seconda natura.
Così una donna può essere avversa al rischio per un comportamento appreso. Secondo le statistiche, uomini e donne concordano sul fatto che l’assunzione di rischi richiede soprattutto fiducia in se stessi, responsabilità e coraggio. Ma mentre gli uomini danno la priorità alla responsabilità, le donne considerano più importante il coraggio.
Questo riflette il loro diverso rapporto con il fallimento: per gli uomini è una semplice conseguenza delle proprie azioni, per le donne è una punizione per il rischio corso, contro il buon senso.
Come si possono affidare responsabilità importanti a qualcuno che non ha il lavoro come priorità assoluta?
La scelta di lavorare part-time è spesso associata a un mancato ingaggio nei confronti dell’azienda o a una scarsa motivazione. Una dimostrazione che il lavoro non è la priorità che spesso porta a una drammatica interruzione nella progressione di carriera.
In realtà, il lavoro part-time nasce solo dalla necessità di trovare un equilibrio con la vita privata, e non rende una lavoratrice meno efficiente.
Guardiamo, invece, le cose da un’altra angolazione: secondo le statistiche, spesso i lavoratori part time sono così grati all’azienda per aver concesso loro questo trattamento privilegiato che non solo vogliono dimostrare di non aver perso il loro impegno professionale, ma anzi cercano di essere il più efficienti possibile.
Questo impone una riflessione: è davvero possibile che non esista alternativa a un sistema in cui solo lavorando a lungo si può ottenere un risultato soddisfacente?
Non va dimenticato, poi, che in Italia le donne sono più penalizzate nel mondo del lavoro. Un problema culturale che si traduce in numeri sconfortanti: dei 444mila occupati in meno registrati in tutto il 2020, il 70% è rappresentato da donne (dati Istat).
Molto spesso il dibattito sull’uguaglianza di genere nelle aziende si concentra sulle funzioni manageriali e sulle difficoltà per le donne di accedere a posizioni apicali.
In realtà, le disuguaglianze nascono molto più in basso. Non esiste solo un soffitto di vetro difficile da sfondare ma anche molteplici barriere che rendono il lavoro delle donne più difficile e ostacolano la loro piena partecipazione e l’avanzamento.
Per distruggere le barriere che le donne si trovano ad affrontare, quindi, dobbiamo demistificare l’idea che la diversità di genere sia un problema solo a livello manageriale.
Spesso le più profonde disuguaglianze mettono radici in ambienti che sono stati “impostati” per gli uomini. Mentre i profili dei dipendenti si stanno diversificando, le pratiche non cambiano. Alcuni lavori, come ad esempio il macchinista ferroviario, sono stati storicamente visti come lavori maschili.
Tuttavia, oggi non c’è motivo per cui le donne non possano guidare i treni con la stessa facilità degli uomini: il lavoro non richiede più la forza fisica che richiedeva quando i treni andavano a carbone, e gli orari di lavoro non sono necessariamente un problema per le donne.
È importante che le donne possano svolgere in modo naturale anche lavori percepiti come maschili, tra cui i mestieri nell’economia digitale e nei settori ambientali, nonché i lavori tecnici, perché sono questi i lavori del futuro.
La mancanza di consapevolezza delle proprie capacità porta le donne, fin da bambine, a non immaginarsi in ruoli nell’ambito delle materie STEM (scienza, tecnologia, ingegneria e matematica).
Ma come emerso dal progetto Inspiring Girls di Valore D, investire in pratiche volte a educare le nuove generazioni attraverso il racconto delle esperienze da parte di role model femminili può incoraggiare le ragazze a seguire le proprie aspirazioni, libere da stereotipi di genere.
Le imposizioni non piacciono a nessuno, men che meno se si tratta di scegliere persone che avranno un ruolo chiave all’interno dell’organizzazione. Eppure, una cosa va detta: le quote rosa sono state finora l’unico mezzo realmente efficace per raggiungere un obiettivo che inizialmente sembrava impossibile.
Una quota non è niente di più e niente di meno che un obiettivo accompagnato da un obbligo: o lo si adempie, o si incorre in sanzioni. Obiettivi chiari sono sempre stati un modo efficace per definire le aspettative, muovere nella giusta direzione, monitorare i progressi e adeguare i piani per ottenere i risultati.
Credere che l’introduzione di quote femminili per le promozioni sia in contrasto con il principio di meritocrazia, suggerisce che le quote sono ingiuste nei confronti degli uomini.
Ma siamo sicuri che l‘attuale sistema sia equo nei confronti delle donne?
Le donne faticano a raggiungere posizioni manageriali perché non hanno le competenze necessarie o perché qualcosa, nei meccanismi di selezione, non funziona?
La risposta è semplice, ma ha bisogno dell’impegno di tutti. È necessario cambiare le regole del sistema per rendere le ‘stanze dei bottoni’ più vicine ai bisogni delle donne e per favorire la loro crescita nel mondo del lavoro.
Se per lavoro ti occupi di definire politiche di parità di genere e di Diversity & Inclusion all’interno della tua azienda, sai bene quanto può essere lungo il percorso che porta alla certificazione.
Proprio per aiutarti a capire a che punto è la tua organizzazione, abbiamo creato un veloce assessment. Rispondi a poche domande per ricevere un consiglio dai nostri esperti.