Non c’è solo l’Intelligenza Artificiale

Oggi quando si parla di lavoro è normale pensare alla tecnologia, ma c’è un patrimonio di esperienza e di mestieri tutt’ora ancora poco considerato

Non c’è solo la tecnologia

Leggendo tra le righe del dibattito e delle polemiche scaturite dalla festività del primo maggio, un osservatore attento avrebbe potuto cogliere una grossa mancanza. L’occasione per poter attribuire alla Festa dei Lavoratori un ulteriore significato: l’opportunità in pratica di valorizzare tutte le forme di lavoro e, quindi, certi lavori e certi mestieri artigiani che oggi più che mai rischiano il declino. 

In un mondo sempre più pervaso dalla tecnologia, in cui ci si interroga sullo spazio che abbiamo già lasciato o che dovremo lasciare in futuro ai sistemi di intelligenza artificiale, ci si dimentica dell’importanza e del valore che ha ancora oggi il lavoro manuale. Quel settore artigiano e manifatturiero che è uno dei pilastri della nostra economia.

Quale posto riserviamo oggi al lavoro manuale?

Se è vero che è cambiato il nostro modo di intendere il lavoro, che è assai difficile trovare le persone giuste – e non solo in termini di competenze –, che c’è una larga percentuale di lavoratori – soprattutto giovani – che certi mestieri non li vuole più fare, la colpa è anche un po’ nostra

Ci siamo concentrati sull’importanza della tecnologia e sull’evoluzione indotta scatenata dai nuovi modelli organizzativi del lavoro 4.0 e 5.0 e non siamo stati sufficientemente capaci di trasmettere la passione per i lavori manuali

Siamo sicuri che siano mestieri obsoleti?

Mestieri antichi come il fabbro, il sarto, il tappezziere, il falegname, l’orafo, il vetraio e così via hanno sempre costituito il valore indiscutibile di una parte del nostro tessuto imprenditoriale, fatto in prevalenza, ieri come oggi, di piccole e piccolissime imprese, ma anche di quelle grandi imprese che sono nate proprio dall’evoluzione e dalla crescita di quei mestieri. 

Se oggi possiamo apprezzare nel mondo marchi come Santoni, Molteni, Bottega Veneta, Furla, Armani, Damiani, solo per fare alcuni esempi, è perché si tratta di imprese che hanno fatto della “manualità” e “artigianalità” dei loro prodotti il loro punto di forza. Né più né meno di quanto avvenuto nel secolo scorso in Francia con marchi come Hermès o Louis Vuitton.

Possiamo far ritrovare terreno ai lavori manuali?

Cosa vuol dire? Che dobbiamo recuperare terreno, perché nel nostro paese non viene attribuito il giusto valore alla possibilità di costruire la propria carriera anche attraverso il lavoro manuale. 

Magari siamo bravissimi nel pubblicizzare l’eccellenza di alcuni settori – come quello agro-alimentare – ma non siamo altrettanto bravi a promuoverlo verso le nuove generazioni.

D’altra parte, se molte ricerche rendono l’evidenza della scarsa considerazione che riceve oggi il lavoro manuale – a discapito, peraltro di mestieri come il web designer, il blogger o l’influencer – vuol dire che si è svolto un lavoro migliore in termini di comunicazione verso questi nuovi mestieri, piuttosto che verso quelli più antichi.

Mestieri che sopravvivono e in molti casi prosperano, ma che hanno difficoltà a garantire il ricambio generazionale. 

Con quali risultati?

Si pensi ad esempio al settore orafo. Un settore che, stando ai dati è composto da oltre 11.000 imprese di cui 8.000 artigiane con più di 30.000 addetti, molti di più di quelli presenti in Francia o in Germania. 

Ma in base alle ricerche condotte dalle federazioni del settore, tra gli studenti delle scuole medie e superiori c’è poco interesse a sviluppare la propria carriera in questo ambito. Segno evidente dello scarso raccordo tra il mondo dell’istruzione tecnico-professionale e il mondo del lavoro

Eppure, in base ai dati OCSE, in Italia l’incidenza del lavoro autonomo sul totale dei lavoratori è molto più alta rispetto agli altri paesi europei: il 21,8% contro una media europea del 14,5%. 

Significa che se da un lato c’è una elevata propensione a “mettersi in proprio” (nel 2022 si sono registrate 500.000 partite IVA in più) – un fenomeno che si è accentuato dopo la pandemia proprio in relazione alla revisione stessa della posizione del lavoro nella scala dei valori – dall’altro c’è ancora una percezione arcaica e distorta dei mestieri artigiani tale da influenzare la distinzione stessa tra lavoro manuale e lavoro intellettuale.

Ma siamo proprio sicuri che siano ancora tutte attività operaie?

Quando nel settore metalmeccanico la figura dell’operaio adotta oggi in prevalenza sistemi digitali 4.0 e 5.0, oppure quando nella falegnameria e nel disegno industriale il taglio dei materiali avviene in prevalenza attraverso strumenti laser computerizzati ad alta precisione, possiamo ancora parlare in modo effettivo di figure operaie

Credo di no. Ma, come sempre avviene in tutti i mestieri, conoscere i materiali, conoscere le tecniche di lavorazione e i modi attraverso i quali la materia prima può essere lavorata oppure recuperata da un prodotto obsoleto – la base del lavoro artigiano – costituisce il presupposto per poter trasformare un semplice prodotto artigiano in un prodotto industriale e l’artigianalità in eccellenza nazionale che poi diventa eccellenza globale. 

Se non si impara a conoscere tutte le complessità di una determinata professione, partendo dalle operazioni più semplici e anche ripetitive, non si è in grado di fare propri tutti gli elementi necessari per fare evolvere anche il lavoro intellettuale da semplice apporto intellettivo ad apporto creativo, facendo sì che da semplice abilità tecnica divenga eccellenza professionale.

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