Specializzazione etnica: la nazionalità incide sul settore di lavoro dei migranti

Lavoro migranti
(Foto: Shutterstock)

Indiani nell’agricoltura, senegalesi nell’industria, cinesi nel commercio: così in Italia l’offerta di occupazione degli stranieri varia in base alla provenienza. I dati del Ministero del Lavoro

Specializzazione per etnia 

Delle comunità straniere in Italia, i cittadini indiani sono occupati principalmente nell’agricoltura (38%), i senegalesi nell’industria (44,4%), gli albanesi trovano lavoro principalmente nel settore edile (28,2%), mentre i cinesi si concentrano nel mondo del commercio (34,8%). Infine le comunità filippina e ucraina sono impiegate prevalentemente nei servizi pubblici, sociali e alla persona (rispettivamente 63,7% e 60,8%). Un effetto in parte del passaparola e dei legami tra connazionali, che tuttavia tende a tradursi anche in una mancanza di inclusione e di prospettive diverse per coloro che arrivano da alcuni specifici paesi stranieri. Il fenomeno, ormai noto, prende il nome di “specializzazione etnica”.

È quanto emerge dal rapporto 2020 “Le comunità migranti in Italia”, curato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali con la collaborazione di ANPAL Servizi.

Per i cittadini extra Ue lavori non qualificati e scarsamente retribuiti

La presenza migrante è un elemento consolidato nel mercato italiano, dove il 7,5% della forza lavoro è di cittadinanza extracomunitaria. Il tasso di occupazione della

popolazione extra Ue è pari al 60,1%, a fronte del 58,8% rilevato sulla popolazione italiana. I maggiori livelli occupazionali sono da collegare, secondo l’osservatorio del Ministero del Lavoro, alla presenza di «mercati del lavoro complementari per la popolazione nativa e straniera, che si traducono nella canalizzazione dei cittadini non comunitari prevalentemente verso lavori non qualificati, con mansioni low skills e scarsamente retribuite». Il peso della forza lavoro non comunitaria è maggiore nei servizi collettivi e personali, dove un occupato su quattro è di cittadinanza extra Ue, nel settore ricettivo (13,2%), nell’Agricoltura (11,5%) e nell’Edilizia (10%)

Le imprese fondate da cittadini stranieri

Rilevante anche il protagonismo della popolazione non comunitaria in ambito imprenditoriale. Sono infatti 486.145 le imprese guidate da cittadini extra Ue, pari all’8% delle imprese italiane. Si tratta in netta prevalenza (79%) di imprese individuali: 383.465, un numero in crescita dell’1,1% rispetto all’anno precedente. Le comunità più rappresentate tra gli imprenditori sono la marocchina (16,7%), la cinese (13,9%), l’albanese (8,7%) e la bangladese (8%). Notevole anche la quota di imprenditrici, soprattutto tra i titolari con nazionalità ucraina (54,5%), filippina (49,3%), cinese (46,7%) e nigeriana (39,6%).

Le principali comunità straniere in Italia

I cittadini non comunitari regolarmente soggiornanti in Italia sono 3.615.826 (per la prima volta in calo dopo anni di stabilità) e arrivano principalmente da Marocco, Albania, Cina e Ucraina, che coprono quasi il 40% delle presenze. Sedici sono le comunità più numerose (albanese, bangladese, cinese, ecuadoriana, egiziana, filippina, indiana, marocchina, moldava, nigeriana, pakistana, peruviana, senegalese, srilankese, tunisina, ucraina), quasi 500 mila le imprese guidate da cittadini extra Ue, pari all’8% del totale. Il tasso di occupazione è del 13,8% e la presenza di cittadini stranieri è un elemento fortemente consolidato del mercato del lavoro italiano. 

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