Un lavoratore su 3 si prende cura di un familiare non autosufficiente

(foto Shutterstock)

Oltre 7 milioni di persone sono “caregiver” familiari. Con il welfare aziendale le imprese possono aiutarle

Esiste una categoria di lavoratori che si divide tra il lavoro, la cura di un parente non autosufficiente o anziano, e in molti casi anche la gestione dei figli non ancora autonomi.
Si tratterebbe di un dipendente su tre (7,3 milioni di persone dato Istat) secondo un’indagine realizzata da Jointly, società specializzata in consulenza e servizi di welfare, e dall’università Cattolica di Milano, su un campione di 30 mila lavoratori di aziende italiane medio-grandi.

Questi dipendenti, definiti “generazione sandwich” o “caregiver”, nel 77% dei casi dedicano quotidianamente, o spesso, del tempo ai genitori bisognosi di cure, come fosse un secondo impiego, svolgendo contemporaneamente un lavoro sociale gratuito, ancora in attesa di una legge che ne riconosca la rilevanza a tutti gli effetti. Nella maggior parte dei casi sono donne, anche se c’è un aumento della parte maschile attiva, non appartenenti a una specifica fascia di età, considerata l’imprevedibilità del problema e della sua evoluzione. 

Quasi tutte le persone nel corso della loro vita devono occuparsi dei familiari anziani o malati per periodi più o meno lunghi, un impegno che coinvolge i lavoratori in modo diverso dalla genitorialità, e presenta più variabili, anche sulla durata del periodo di cura.
Un dipendente su 4 inoltre, in aggiunta ai familiari non autosufficienti, deve gestire anche figli piccoli o adolescenti.

Nel futuro prossimo si prevede che questa condizione assuma dimensioni ancora maggiori, complice l’allungamento della vita media, che secondo stime Istat, tra il 2045-2065, vedrà 1 italiano su 3 avere più di 65 anni. Ovviamente con delle conseguenze per il mondo del lavoro, considerando anche i cambiamenti del contesto socio-demografico e l’innalzamento dell’età di pensionamento.

LA NECESSITÀ DI POLITICHE AZIENDALI

Gravati dalle incombenze familiari, spesso i caregiver si assentano 15 giorni in più all’anno rispetto ai colleghi, beneficiando della legge 104; nel 15% dei casi lasciano il lavoro, e possono risentire di stress e preoccupazioni anche sul lavoro, con una diminuzione della produttività.

Anche per questi motivi è necessario sviluppare una sensibilità aziendale sull’argomento, che dia un supporto concreto ai caregiver, per esempio attraverso politiche di welfare e conciliazione vita-lavoro che vadano oltre lo smart working.

“FRAGIBILITÀ” DI JOINTLY

Attraverso il servizio “Fragibilità”, un sistema di iniziative coordinate dedicato alle organizzazioni che vogliono sostenere i propri dipendenti-caregiver, Jointly offre consulenze, servizi socio-assistenziali (dalla ricerca di una struttura residenziale all’assistente familiare) e percorsi di formazione.

«Nelle grandi imprese, che oggi stanno introducendo forme di lavoro agile e di flessibilità, si riesce ad allentare la morsa. Invece per ora le pmi hanno più difficoltà a gestire il fenomeno,» – ha spiegato Fabio Galluccio, co-founder di Jointly, a tuttowelfare.info – «a queste si aggiungono le imprese che usufruiscono di quote molto basse di welfare, che spesso si concentrano su altro e non forniscono un aiuto ai caregiver». Negli ultimi anni però si è visto uno spiraglio di luce in merito alle possibilità di supporto da parte dell’azienda «grazie alla defiscalizzazione dei contributi per il welfare dedicati all’assistenza di familiari non autosufficienti. E laddove c’è una comunicazione corretta e intensiva su questi servizi, le persone vi aderiscono in gran numero».

 

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