Le donne guadagnano meno degli uomini anche nell’ambito tecnologico. Lo svela il report dell’Università Cattolica
Il divario salariale tra uomini e donne, a parità di titolo di studio, è ancora più marcato nell’ambito della tecnologia. L’indagine dell’Osservatorio Conti Pubblici Italiani dell’Università Cattolica di Milano mette in luce come, pur avendo conseguito risultati e voti più alti dei colleghi maschi, le studentesse che escono dalle facoltà legate all’ambito scientifico-tecnologico, una volta entrate nel mondo del lavoro, guadagnino molto meno degli uomini.
Prendono voti migliori durante tutto il percorso scolastico e universitario, si laureano prima e con votazioni più alte, eppure non vengono retribuite come i colleghi maschi. Le studentesse che entrano a fare parte del mondo del lavoro, specialmente quando si tratta dell’ambito tecnologico e scientifico, guadagnano meno degli uomini.
L’indagine dell’Università Cattolica evidenzia come le donne abbiano tassi di occupazione e salari minori rispetto agli uomini. Il maggior divario tra numero di laureati e laureate emerge nell’area STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics), e sembra essere dovuto a convenzioni e stereotipi culturali.
L’Italia è lontana dal raggiungere il traguardo dell’Agenda 2030 sullo sviluppo sostenibile, visto che il tasso di partecipazione femminile è 14,3 punti inferiore rispetto alla media europea (53,1 contro 67,4%). Per quanto riguarda i tassi di occupazione la differenza è del 18,5% (48,9 contro 67,4%) nella fascia 15-64 anni. Eppure, il livello di istruzione femminile è sensibilmente più elevato di quello maschile.
Al termine della scuola media, le studentesse hanno voti migliori: il 43,1% delle ragazze consegue un risultato finale di 9 o 10, mentre solo il 31,6% dei ragazzi raggiunge questa votazione. Le ragazze conseguono il diploma di scuola superiore in proporzione maggiore rispetto ai ragazzi (53% contro 47). Riguardo ai voti, all’esame di maturità il 35,4% delle ragazze riceve un voto tra 90 e 100, mentre gli studenti maschi raggiungono questo traguardo solo nel 22,9% dei casi. Inoltre, la proporzione di studentesse che terminano gli studi senza bocciature è maggiore rispetto agli studenti (92,4% contro 87,7%). Le ragazze hanno una maggiore propensione a proseguire gli studi: l’80% intende seguire corsi universitari, contro il 65% dei maschi.
Anche le performance universitarie delle ragazze sono migliori rispetto a quelle degli studenti maschi, sia quantitativamente che qualitativamente. L’incidenza delle laureate è del 23,7% per l’intera popolazione, mentre scende al 17,2% per gli uomini.
Il salario medio per una laureata magistrale, a 5 anni dalla laurea, è di 1.403 euro netti mensili, mentre un laureato maschio guadagna in media 1.696 euro, generando una differenza di 293 euro, pari al 21% del salario femminile.
Sono diversi i fattori che spiegano queste differenze: in assenza di adeguate strutture per la cura dei figli, le donne tendono ad avere carriere più discontinue, con effetti negativi sulla retribuzione.
Potrebbe essere rilevante, inoltre, il fatto che le studentesse scelgano impieghi che garantiscano una maggiore flessibilità, anche al prezzo di una retribuzione più bassa, a causa di condizionamenti sociali. Le laureate magistrali, a tre anni dal conseguimento del titolo, sono impiegate con contratti part-time nel 21% dei casi, contro l’8% per i colleghi maschi. I laureati maschi lavorano mediamente 5,4 ore in più alla settimana rispetto alle femmine (rispettivamente 39,7 e 34,3 ore, in media).
Queste differenze potrebbero non riflettere i desideri delle lavoratrici, ma abitudini culturali per cui i lavoratori maschi sono preferiti, in termini di opportunità di lavoro, alle lavoratrici. In generale, i datori di lavoro potrebbero preferire lavoratori uomini alle lavoratrici nei settori più remunerativi, a causa di condizionamenti sociali.
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