Offrono supporto e consulenza alle imprese sui temi del welfare, soprattutto sul piano organizzativo e tecnologico
Negli ultimi quattro anni il welfare aziendaleÈ l’insieme di benefit e prestazioni che un datore di lavoro riconosce ai suoi dipendenti, in aggiunta alla normale retribuzione, con lo scopo di migliorarne la qualità della vita privata e professionale. More ha avuto un notevole sviluppo, creando un innovativo mercato delle prestazioni e dei benefit monetari finalizzati a produrre risposte a bisogni di natura sociale, relativi al benessere personale e familiare dei lavoratori dipendenti del settore privato. Prestazioni di natura “sociale” che integrano la retribuzione con il fine di migliorare la vita della persona, con il riconoscimento del favor fiscale accordato dal legislatore al datore di lavoro.
Tale mercato del welfare aziendale si rivolge alle imprese come “canale di vendita”, all’interno del quale il lavoratore dipendente ha il potere delle decisioni di acquisto grazie a un budget di spesa, messo a disposizione in seguito a decisioni aziendali o contrattate con i sindacati.
Oggi in Italia un’impresa su due è attiva nel welfare, secondo la ricerca “Welfare index PMI 2019”, e circa 130.000 pmi adottano vere e proprie politiche di welfare aziendale, soprattutto nell’industria e nel terzo settore.
Le aree di welfare con il più alto tasso di iniziative sono sicurezza e prevenzione, sanità integrativa, previdenza integrativa e iniziative di sostegno economico, seguite da work life balance e formazione, gli ambiti più dinamici. In aumento, ma ancora non maturi, sono i servizi di assistenza (attività di prevenzione, sportelli medici, assistenza agli anziani etc), il sostegno ai soggetti deboli, l’integrazione sociale e il welfare allargato alla comunità (progetti sul territorio e servizi aperti all’utenza esterna). Infine, faticano a crescere cultura, tempo libero e sostegno all’istruzione dei figli, con i tassi di iniziativa più limitati.
A dare supporto e consulenza alle aziende sui temi del welfare, sono attivi da qualche anno i provider, operatori che fanno da intermediari di servizi di welfare aziendale.
Si tratta di società private che danno sostegno alle imprese nelle varie fasi di ideazione, implementazione e monitoraggio di interventi o piani di welfare, e stanno popolando un mercato in forte espansione. Mercato che – sulla base dei dati della ricerca “Il mercato dei provider in Italia”, effettuata dal professor Luca Pesenti di Altis-Università Cattolica in collaborazione con la società Valore Welfare – dà lavoro a 449 addetti, serve circa 19.090 aziende (per lo più di medio-grandi dimensioni) e conta 1.691.652 lavoratori registrati sui portali dei provider.
«Fino a qualche anno fa gli operatori erano 3, oggi sono 78 – afferma Pesenti – e sono nati tutti negli ultimi 5-6 anni. Questo sviluppo tumultuoso richiedeva una prima indagine». Indagine che è stata effettuata su un campione significativo di provider che dispongono di piattaforme web o “portali” per la gestione operativa e rendicontazione amministrativa dei piani di welfare. Attraverso i quali mettono a disposizione dei lavoratori delle aziende clienti l’accesso a un menù di beni, servizi e prestazioni previsti dal piano di welfare attivato dall’azienda, acquistabili o fruibili dai dipendenti utilizzando un budget di spesa.
A fare riferimento ai provider, che tra le altre cose danno un importante contributo alla diffusione di cultura e iniziative di welfare, ad oggi sono soprattutto le grandi imprese.
In questo contesto, il rischio che corre il welfare, secondo Emanuele Massagli, presidente di AIWA (Associazione Italiana Welfare Aziendale) è quello di diventare un bene di consumo e una “commodity”, snaturandosi. Oltre a ciò, i diversi operatori potrebbero avviare una competizione abbassando i prezzi dei prodotti offerti, facendo scendere il livello qualitativo.