Spesso il lavoro porta con sé dei pensieri negativi ricorrenti, che ci affliggono anche fuori dall’ufficio. I suggerimenti per contrastarli
Perché il lavoro ci tormenta anche nella vita privata? Da cosa dipende il nostro malessere e come possiamo migliorare la situazione? Lo abbiamo chiesto alla dottoressa Fortunata Pizzoferro, vicepresidente dell’Ordine degli Psicologi del Veneto.
Il primo passo, suggerisce la dottoressa Pizzoferro, è capire la natura di questi pensieri. «Mi spiego» chiarisce la psicologa e psicoterapeuta «se sono un regista e inaspettatamente ho un’idea per un nuovo film non ho nessun interesse a spegnere questo processo creativo, anzi. Se invece la mia intenzione è quella di allontanare il pensiero, evidentemente non è piacevole ma disturbante. C’è quindi da capire da dove nasce questo pensiero negativo: questioni relazionali che mi turbano? Oppure alla radice dei pensieri c’è ansia e insicurezza? O ancora, ci sono problemi legati all’organizzazione? Il lavoro mi sovrasta e ho l’impressione di non riuscire a terminare tutto nel tempo deputato?».
In quest’ultimo caso, l’ansia deriva da una cattiva organizzazione dei compiti. «Se mi sembra che il tempo sia insufficiente» consiglia l’esperta «evidentemente ne spendo troppo per attività che non sono essenziali, o che non sono del tutto di mia competenza. Spesso a lavoro siamo tempestati dalle “urgenze”, sembra che tutto sia urgente, ma è davvero così? Ed è davvero tutto di nostra responsabilità? Il mio consiglio è quello di prendere un quaderno, suddividere in ascisse e ordinate le mie attività secondo criteri di importanza e di urgenza. Ci accorgeremo che spesso siamo presi da false urgenze, o da urgenze di cui ci investe qualcun altro ma che in realtà non ci competono. Allora, in questo caso, è anche giusto e importante imparare a delegare o a far presente il problema».
Un altro fattore che può generare ansia è l’insicurezza, che ha molte cause. Una di queste è la mancanza di preparazione: il nostro malessere, infatti, potrebbe essere la spia di un problema reale. «L’ansia» dice Pizzoferro «è come un cartello stradale che ci invita a fare attenzione: non bisogna avere paura ma imparare a leggerlo. Qualche volta il senso di inadeguatezza deriva dalla nostra reale mancanza di preparazione, magari in relazione ad un aspetto specifico o nuovo del nostro lavoro. Niente paura: una volta individuata la skill dove abbiamo delle lacune basta approfondire con dei corsi di formazione. Il fatto di essere più preparati ci renderà più sicuri».
Infine, non è affatto insolito che il motivo del nostro stress da lavoro si annidi nelle relazioni interpersonali. In questo caso, consiglia Pizzoferro, «devo capire prima di tutto qual è la mia parte in questo contrasto. Ognuno di noi può fare la sua piccola parte per migliorare la situazione e a volte il solo fatto di presentarsi con un sorriso e dicendo buongiorno può innescare un meccanismo di miglioramento, perché il tono emotivo è contagioso. Viceversa, quindi, se entro in ufficio scura in in viso e di cattivo umore non faccio altro che alimentare la condizione negativa di cui mi lamento. Ci sono casi in cui un piccolo gesto quotidiano può modificare in meglio i rapporti e altri che necessitano un intervento più strutturato. Se i conflitti vanno avanti da tempo e sono ormai incancreniti ed esacerbati, sarebbe utile poter far riferimento in azienda o chiedere la consulenza ad una figura esperta nella gestione delle relazioni e soluzione del conflitto. In mancanza non mi resta che provare a cambiare ufficio o modificare i miei turni. Se il malessere riguarda molti dipendenti, un intervento dall’alto per comprendere le cause e individuare le giuste soluzioni. Una di queste può essere anche un’indagine sullo stress lavoro correlato, che se ben fatta può dare risultati molto gratificanti».