Fabio Streliotto, co-founder della società Innova srl, ci spiega come il welfare aziendale può contribuire allo sviluppo economico e sociale di territorio e comunità
Il welfare aziendaleÈ l’insieme di benefit e prestazioni che un datore di lavoro riconosce ai suoi dipendenti, in aggiunta alla normale retribuzione, con lo scopo di migliorarne la qualità della vita privata e professionale. More può essere uno strumento utile per supportare le attività e i servizi del territorio, per migliorare il clima aziendale, in termini di rapporti interpersonali, e addirittura il benessere di una comunità.
Abbiamo fatto una chiacchierata con Fabio Streliotto, una formazione in ambito sociale e nelle politiche del lavoro, co-founder di Innova srl, società di consulenza specializzata in servizi di welfare di comunità, che da sei anni progetta soluzioni di welfare aziendale per migliorare il benessere e la produttività dei lavoratori, l’innovazione delle imprese e lo sviluppo sociale ed economico del territorio.
Streliotto ci ha raccontato la sua visione innovativa del welfare aziendale, che parte da questo presupposto: «l’impresa è un tassello della comunità e i suoi dipendenti sono prima di tutto cittadini, non solo lavoratori e consumatori di beni e servizi».
Questo in riferimento a una certa «mercificazione del welfare aziendale» in atto, veicolata dalla tendenza che si sta diffondendo negli ultimi anni, soprattutto tra le grandi aziende, a portare tutti i servizi legati al welfare all’interno dell’impresa stessa, «trasformando il ruolo del lavoratore anche in quello di consumatore, uguale cioè a quello che già ricopre nella società».
«Se tu porti la palestra all’interno dell’azienda – spiega Streliotto – quindi tutta l’area che riguarda il tempo libero, i servizi alla persona, compresi ad esempio l’asilo nido o la scuola materna, l’assistente sociale, sostanzialmente stai dicendo che quello che c’è nel territorio, quindi l’offerta dei servizi pubblici e del terzo settore, non è adeguata. Il che potrebbe essere parzialmente vero, ma la soluzione non è privatizzare.
Noi crediamo che questo approccio al welfare sia deleterio, per due motivi: il primo è legato al fatto che l’azienda non deve essere l’unico riferimento dei propri collaboratori, perché l’essere umano non può identificarsi solo con l’impresa che lo rappresenta. Secondo, la maggior parte dei lavoratori italiani lavora in piccole e micro imprese che difficilmente faranno politiche avanzate di welfare. Quindi cosa succede? Se il welfare aziendale lavora nella direzione di sostituire i servizi sul territorio, andrà ad aumentare le differenze esistenti, ovvero ci saranno cittadini di serie A, persone che lavorano in aziende particolarmente sane, guadagnano un buon stipendio, e possono fruire del welfare; quelli di serie B che hanno semplicemente un lavoro, fino ai precari di serie C, o a coloro che addirittura non hanno nemmeno un impiego».
Nell’opinione di Streliotto quindi, il welfare aziendale, per evitare una mercificazione, deve essere integrato al welfare contrattuale/bilaterale e al welfare locale pubblico.
In particolare è necessario sviluppare il welfare contrattuale, il quale – attraverso i fondi sanitari integrativi, i fondi previdenziali e gli enti bilaterali – può allargare il bacino dei beneficiari attraverso forme di welfare di tipo mutualistico e sussidiario.
Attraverso il welfare le imprese investono del denaro per aumentare il benessere dei propri dipendenti, nella maggior parte dei casi spendibile tramite piattaforme che propongono l’acquisto di beni e servizi, in prevalenza presso grandi catene e siti di ecommerce, escludendo i servizi e le attività economiche di prossimità.
Così il welfare diventa un valore economico che invece di rimanere, almeno in parte, a livello locale, va ad alimentare le multinazionali e le imprese non coesive.
Se gli investimenti in welfare delle aziende private contribuiscono invece a sviluppare servizi nel territorio, questi diventano potenzialmente fruibili anche da altri cittadini, a pagamento, o con il supporto dell’ente pubblico per chi non ha le capacità economiche.
Parliamo, per fare qualche esempio, di servizi che riguardano i minori, il tempo libero, legati alla cura degli anziani o alla formazione, di centri medici, piccole attività commerciali e produttive locali per i fringe benefitl’insieme dei vantaggi concessi dal datore di lavoro ai propri dipendenti come forma remunerativa complementare alla retribuzione principale (per es. auto a disposizione, borse di studio, viaggi premio, ecc.) More.
Nel caso specifico di asili nido e scuole dell’infanzia, già provati anche da problematiche legate all’abbassamento della natalità, le convenzioni con i soggetti del territorio possono essere d’aiuto nell’evitare eventuali chiusure.
«Per noi è strategico che le piccole attività continuino ad esistere, – continua Streliotto – perché anche mantenere vivo il tessuto economico del territorio significa benessere per i lavoratori. Quando escono dall’azienda i lavoratori sono cittadini, e se vivono in un piccolo comune, dove i negozi hanno chiuso perché tutto si è spostato online, questo con il passare del tempo potrebbe diventare problematico, soprattutto per gli anziani che non possono spostarsi autonomamente e non sono in grado di usare strumenti digitali avanzati».
«Negli ultimi due anni si è creata una sorta di “moda”, per cui la maggior parte dei servizi passano per le piattaforme di welfare aziendale, attraverso le quali i dipendenti possono spendere un credito welfare dato dall’azienda. Questa prassi deriva da una semplificazione dettata dai consulenti e dalle associazioni di categoria che la propongono, ma non è al primo posto nelle esigenze dei dipendenti. Aspetto che emerge chiaramente quando si affrontano dei piani di welfare partendo dall’ascolto dei lavoratori».
«Se dovessi mettere in graduatoria cosa chiedono le persone quando facciamo survey e colloqui, – prosegue Streliotto – come prima cosa indicherei la necessità di migliorare il clima interno, nello specifico i rapporti interpersonali con i colleghi, ma anche con i manager e gli imprenditori. Negli ultimi due casi, spesso evidenziando la mancanza di azioni di rinforzo positivo da parte loro», più facilmente propensi a riprendere il lavoratore se qualcosa non va, piuttosto che a dargli una “pacca sulla spalla” quando ha fatto un buon lavoro.
Ben venga il credito welfare, ma ciò che emerge come bisogno primario è la necessità di stare bene sul posto di lavoro e operare in un clima di serenità.
«Attraverso l’esperienza di Innova abbiamo visto che il welfare aziendale non può essere solo piattaforma e credito welfare, ma si può fare anche fornendo altri tipi di servizi che non passano per la piattaforma. Ad esempio, il check up medico offerto a tutti i lavoratori, i gruppi di acquisto o il “maggiordomo aziendale”, che noi preferiamo venga dal territorio, un addetto alle piccole commesse come il ritiro di un pacco o la prenotazioni di esami medici. Figura quest’ultima che va incontro alle molteplici esigenze di “time saving”».
Un altro tema sentito dai lavoratori e gestibile al di fuori delle piattaforme riguarda la sfera del miglioramento dell’organizzazione e del work life balance, traducibile nella richiesta di flessibilità oraria e smart workingÈ una nuova modalità di svolgimento dell’attività lavorativa, introdotta dalla l. 81/2017 e caratterizzata dall’assenza di precisi vincoli di orario e di luogo di lavoro per il dipendente. More soprattutto da parte dei giovani.
I servizi del territorio che entrano nel “mercato del welfare”, a loro volta, possono creare un altro anello nella condivisione di valore, mettendone a disposizione una parte con le organizzazioni non profit e le scuole del territorio.
«Perché questo? – conclude Streliotto – Il welfare non si divide solo in pubblico e privato. Il mondo non potrà mai funzionare soltanto in questa maniera, è utopico e deleterio pensare che possiamo acquistare tutto, abbiamo bisogno della comunità e di relazioni di mutuo aiuto.
In Italia il mondo del volontariato e della solidarietà è sempre stato vivo ma ha bisogno di essere sostenuto e valorizzato, in questo il welfare aziendale potrebbe metterci un po’ del suo. Parrocchie, associazioni e società sportive. Tutti questi soggetti offrono servizi essenziali ai cittadini, spesso gratuitamente, e rappresentano per questo una ricchezza sociale ed economica».
Molti studi ci dicono che c’è reciprocità tra sviluppo economico e sviluppo sociale, ovvero, dove c’è una bassa presenza del volontariato c’è anche una scarsa predisposizione allo sviluppo economico del territorio. Viceversa, dove c’è sviluppo economico di solito c’è anche una crescita di persone che dedicano del tempo volontariamente all’aiuto degli altri. Noi crediamo che questo sia importante per tutti, per le persone ma anche per le imprese».