Per ottenere un solo bitcoin serve tanta energia quanta quella consumata da una famiglia americana in due anni. Ma anche webinar, smart working o teledidattica sono attività che pesano sul bilancio ambientale. Ecco qualche numero che fa riflettere
Giganteschi computer, giganteschi processi, gigantesche quantità di energia elettrica, prodotta dal carbone. Ecco cosa si cela dietro l’invisibile cloud, una nuvola che «di etereo non ha proprio niente». Lo spiega Milena Gabanelli, che ha condotto un approfondimento sul tema nel suo DataRoom sul Corriere della Sera. E ha dimostrato, dati alla mano, come la nostra vita digitale abbia un impatto inimmaginabile sull’ambiente.
Le infrastrutture digitali consumano moltissima energia per funzionare, ma è energia “invisibile”, che non vediamo e non paghiamo direttamente. E, per questo, nemmeno immaginiamo che esista. Un esempio? Guardare per 10 minuti un video ad alta definizione in streaming equivale, come impatto energetico, a utilizzare un forno elettrico da 2000 w a piena potenza per tre minuti. L’energia consumata per ottenere un solo bitcoin è pari a quella usata in due anni da una famiglia americana media, mentre una singola transazione potrebbe alimentare una casa per un mese intero. O ancora, per addestrare l’intelligenza artificiale a compiere una sola azione possono servire 284 tonnellate di CO2. Quasi cinque volte quelle della vita media di un’auto americana, produzione inclusa.
Il problema è che computer, dispositivi elettronici e infrastrutture digitali consumano quantità sempre maggiori di energia elettrica. E questa energia, se non proviene da fonti rinnovabili, produce emissioni di gas serra. L’universo digitale consuma già molte risorse: nel 2008 ha contribuito per il 2% delle emissioni globali, nel 2020 siamo già al 3,7% e arriveremo all’8,5 nel 2025. Una quantità pari alle emissioni globali di tutti veicoli leggeri in circolazione. Nel 2040, si stima che l’impatto possa raggiungere il 14%. I dati riportati da DataRoom sono quelli di The Shift Project nel Report: LEAN ICT – TOWARDS DIGITAL SOBRIETY e dello studio «Assessing ICT global emissions footprint». Confrontando le emissioni del digitale nel 2020 in tutti i Paesi si può vedere che se le infrastrutture digitali fossero uno Stato, sarebbe uno fra i più grandi consumatori di energia al mondo.
Continuiamo a produrre dati in maniera esponenziale: sembrano viaggiare su binari invisibili e raccogliersi in magazzini immateriali, come il cloud. Una “nuvola” dove magicamente archiviamo quantità sterminate di informazioni. Ma i nostri dati non sono dispersi nell’etere, sono stoccati all’interno di enormi strutture fisiche composte da fibre ottiche, routers, satelliti, cavi che corrono sul fondo dell’oceano. Enormi computer che necessitano di colossali quantità di energia e sistemi di raffreddamento. Tutto questo funziona grazie al carbone. In altre parole, conclude Gabanelli, se vogliamo lavorare per la sostenibilità del pianeta «lo sviluppo della vita digitale dovrà valutare l’impatto netto tra le emissioni evitate e quelle prodotte per fornire un servizio immateriale. Risparmio un viaggio aereo, perché faccio la videoconferenza».
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