Il 71% degli italiani risponde a telefonate e mail di lavoro anche nel tempo libero. Spesso non per una scelta volontaria ma perché è ciò che si aspetta il capo
La testa sempre lì, al lavoro, siete usciti dall’ufficio, magari pure in ferie o in malattia, ma c’è sempre qualcosa da chiudere o qualcuno che vi contatta, il capo o un collega.
A volte per un lavoro urgente da concludere, la richiesta di informazioni, altre volte perché siete voi stessi a voler rimanere aggiornati, altre ancora semplicemente perché funziona così, che il capo di prassi vi manda mail, messaggi su WhatsApp o vi chiama durante il tempo libero, per fare il punto o avere risposte (anche quando potrebbe tranquillamente farlo il giorno successivo durante l’orario di lavoro), e voi siete sempre disponibili, per senso del dovere o per paura di mettervi in cattiva luce ignorandolo.
Italia, 2020. Da un lato prospettive futuristiche di un approccio innovativo al lavoro, più fluido, basato su obiettivi, senza vincoli di orario e luogo, sulla fiducia del datore nei confronti del dipendente, che dovrebbe godere di sempre maggiore autonomia, di un miglioramento del work life balance, l’equilibrio vita-lavoro. Dall’altro la realtà, che spesso è molto diversa da quanto si racconta, per lo meno in molte imprese, ancora lontane dall’aver intrapreso la strada del cambiamento verso il lavoro di domani.
Una realtà quella italiana, di cui un piccolo spaccato emerge osservando i dati dell’indagine di Randstad Workmonitor 2019 effettuata su 400 lavoratori tra i 18 e i 65 anni di ognuno dei 34 paesi del mondo analizzati, che sembra evidenziare più che un miglior work life balance, un work life blend, una sovrapposizione tra lavoro e tempo libero.
Dal rapporto infatti l’Italia risulta essere uno dei paesi che più di tutti si porta il lavoro a casa: all’ottavo posto nel mondo e al terzo in Europa, dopo Romania, Ungheria e Portogallo.
Ai primi posti invece, nell’ordine: Cina, India, Turchia, Singapore.
Il 71% dei lavoratori italiani dichiara di rispondere a call, email e messaggi fuori dal regolare orario di lavoro, “in un momento opportuno”, contro la media generale del 65%.
Peggio dell’Italia, in Europa: Romania e Ungheria (74%), seguite dal Portogallo (72%).
Il 68% degli italiani invece risponde “immediatamente” alle comunicazioni di lavoro nel tempo libero, rispetto a una media del 59%.
Quasi in linea con la percentuale media (72%), il 71% degli italiani dice di sentirsi libero di lasciarsi il lavoro alle spalle durante le ferie. Più alto il dato relativo agli uomini (71%) contro il 66% delle donne.
In realtà però il 53%, oltre la metà delle persone quindi, ammette di rimanere connesso per gestire questioni lavorative anche durante le ferie perché preferisce rimanere aggiornato e coinvolto nei processi. Dato che si attesta più alto di 10 punti rispetto alla media (43%).
Il 38% degli intervistati italiani sente la pressione di dover rispondere a chiamate, mail e messaggi di lavoro in vacanza (38% dato medio globale).
Il 59% delle persone sostiene che il datore di lavoro si aspetti la disponibilità dei dipendenti fuori dal regolare orario di lavoro (56% dato medio), e che questi siano sempre pronti a rispondere a telefonate, mail e messaggi durante le vacanze e il tempo libero (52% dato Italiano rispetto al 45% mondo).
Sugli uomini (63% e 58% rispetto a 55% e 47% delle donne) e sui lavoratori sotto ai 45 anni le aspettative aziendali sono maggiori. Di questi ultimi il 65% è disponibile e il 59% risponde a chiamate e messaggi fuori dal lavoro. Percentuale più alta rispetto alle figure senior, che si attestano al 52 e 43%.
Anche se il tempo di lavoro invade la sfera del tempo libero, solo il 54% degli italiani qualche volta “si prende il lusso” di gestire questioni personali durante l’orario di lavoro, contro la media global del 67%. Si tratta soprattutto di donne (56%) e under 45 (62%), mentre per gli uomini (52%) e i lavoratori senior i valori sono più bassi (44%).
«In seguito alla diffusione dello smart workingÈ una nuova modalità di svolgimento dell’attività lavorativa, introdotta dalla l. 81/2017 e caratterizzata dall’assenza di precisi vincoli di orario e di luogo di lavoro per il dipendente. More e del crescente peso sul mercato del lavoro di millennial già abitualmente “connessi”, stiamo assistendo a un progressivo passaggio al work life blend, un modello di organizzazione del lavoro in cui vita professionale e privata si fondono e sovrappongono» afferma Valentina Sangiorgi, Chief HR Officer di Randstad Italia.
«Se l’abitudine di estendere attività d’ufficio oltre ai tradizionali confini è ormai diffusa, non è ancora altrettanto comune gestire questioni private durante l’orario di lavoro. La trasformazione in corso porta con sé opportunità, ma anche il rischio che i lavoratori si sentano stressati e sotto eccessiva pressione.
Le imprese devono impegnarsi a promuovere la stessa flessibilità da entrambi i lati, riuscendo a rispettare i tempi di “disconnessione” e valutando i dipendenti in base ai risultati, per migliorare la produttività, anche grazie a motivazione e coinvolgimento».