Smart working, ovvero la lezione della flessibilità

img 1: “Smart working”
(foto Shutterstock)

Tre anni fa il lavoro da remoto era solo per pochi. Oggi è una realtà per milioni di persone e un modello organizzativo in continua evoluzione

di Gianluca Spolverato e Paola Salazar

Cosa sapevamo nel 2020 del lavoro da remoto?

Se tre anni fa avessimo lanciato un semplice sondaggio sul grado di conoscenza e di esperienza del lavoro da remoto (il lavoro agile disciplinato nel nostro ordinamento giuridico dalla L. n. 81/2017), probabilmente avremmo raccolto limitata consapevolezza non solo sul vero significato di lavoro agile o di smart working, ma anche sulla effettività del suo utilizzo all’interno delle aziende. 

È quanto emergeva dai dati dell’Osservatorio del Politecnico di Milano: una lenta e costante curva in salita ma, di fatto, un fattore organizzativo che avrebbe forse preso piede in una trentina d’anni, se fosse rimasto ancorato alle tendenze di sviluppo pre pandemia.

Cosa abbiamo imparato oggi?

Poi è arrivata la pandemia e nel giro di pochi mesi si è passati da 600.000 smart worker a quasi 7 milioni (dati 2021 dell’Osservatorio del Politecnico di Milano) con un’elevata percezione da parte dei lavoratori – stando sempre alle dichiarazioni del Presidente dell’Osservatorio – sull’utilità riscontrata nel lavoro da remoto per portare a termine le proprie attività (80% dei lavoratori del settore privato e il 60% del pubblico). 

Oggi sappiamo che il lavoro da remoto – smart working o lavoro agile, ma anche telelavoro – non solo è rimasto per molte attività (3,6 milioni di lavoratori, complice anche la crisi energetica), ma è anche richiesto in fase di assunzione ed è ormai divenuto un importante strumento di engagement

Un mezzo attraverso il quale si comunica all’esterno delle aziende l’adozione di modelli organizzativi incentrati sul benessere delle persone e l’attenzione ai temi della flessibilità e della conciliazione.

Addio al lavoro agile semplificato

Da inizio anno la disciplina del lavoro agile è tornata a dover essere applicata dalle aziende secondo tutti i principi contenuti nella Legge n. 81/2017 con l’obbligo di sottoscrivere con ciascun lavoratore lo specifico accordo individuale

Tale adempimento, al di là dell’obbligatorietà giuridica, non va visto come un onere ma come un’opportunità. Quella di poter finalmente mettere nero su bianco gli elementi sui quali costruire il passaggio verso una nuova e ormai necessaria organizzazione del lavoro.

Abbiamo un’opportunità, non solo un obbligo giuridico

Lo smart working costituisce una vera rivoluzione. Se ben utilizzato e, soprattutto se strutturato secondo la linea evolutiva del modello ibrido – che alterna lavoro in sede e da remoto – è uno strumento privilegiato di produzione, di creazione di valore, di creatività e di innovazione e non solo un semplice strumento di conciliazione vita-lavoro. 

L’esatto contrario di quanto si è sperimentato nei mesi più duri del lockdown durante i quali lo si è vissuto sotto forma di una specie di telelavoro domiciliare forzato e iperconnesso, caratterizzato da una continua commistione tra impegni lavorativi, impegni personali e familiari. 

Uno strumento che, con le deviazioni determinate dalla pandemia, in alcuni casi ha finito per appiattire e veder frustrate le sue più importanti potenzialità strutturali, ossia la possibilità di favorire, attraverso la leva della flessibilità individuale, l’aumento della creatività, dell’efficacia sul lavoro e della produttività

Lavoro agile, telelavoro o lavoro ibrido?

Lavoro agile e telelavoro hanno delle caratteristiche comuni fondate su un modello organizzativo di tipo flessibile che nel lavoro agile è caratterizzato in misura prevalente proprio sulla flessibilità spazio-temporale. 

È questa la sua caratteristica più importante, quella che lo rende strumento di innovazione: non importa da dove lavoro, da casa, dall’ufficio, da un altro luogo, da un altro paese, purché gli obiettivi vengano rispettati

Questo modello organizzativo, necessariamente agganciato alla capacità di definire gli indicatori del lavoro per obiettivi – come previsto dalla legge – è strutturalmente fondato su molteplici sfaccettature che comportano altresì diverse conseguenze: ad esempio in termini di collaborazione, self-management e valorizzazione delle scienze comportamentali, essenziali per gestire correttamente i tempi di lavoro e la collaborazione nella prestazione da remoto, il rapporto con i colleghi e i responsabili, ma anche il rischio di isolamento. 

Ma anche in termini di stili di leadership e formazione dedicata sull’uso degli strumenti di lavoro e sulle risorse IT a disposizione per sostenere l’accrescimento delle competenze necessarie per svolgere al meglio il lavoro da remoto.

Con quale evoluzione?

Un modello che ha importanti implicazioni anche in termini di orario di lavoro, mediante ad esempio la possibilità di svolgere la prestazione lavorativa senza i rigidi vincoli dell’orario di lavoro normalmente praticato in sede, ma nel rispetto dei limiti massimi che l’ordinamento giuridico pone in materia di orario di lavoro, anche per ragioni di sicurezza. 

Che poi è proprio il fondamento del diritto alla disconnessione ma anche del crescente dibattito sulla settimana corta

Se oggi possiamo parlare di evoluzione del lavoro è proprio grazie all’accelerazione che in questi ultimi tre anni abbiamo conosciuto attraverso il lavoro da remoto. 

Un futuro possibile a patto di avere un management attento a queste importanti sfide organizzative e consapevole del ripensamento del proprio ruolo. 

Una sfida anche culturale: siamo pronti?

Aspetto quest’ultimo non così scontato in Italia a causa degli ostacoli di natura culturale che sono ancora fortemente presenti in gran parte del tessuto imprenditoriale interno, differenziati peraltro per consistenza e dimensione aziendale così come dal punto di vista territoriale (dati Eurofund).

Basti pensare che nel corso dell’emergenza sanitaria il 53% delle PMI, ossia le aziende con numero di addetti fino a 250, ha adottato il modello di lavoro da remoto – smart working – assicurando la continuità del business per un numero di addetti del comparto stimabili in 1,13 milioni

Il che fa ben sperare in termini di rivoluzione culturale anche in questo ambito, pur nella consapevolezza che vi è ancora molta strada da fare.

La sfida organizzativa è già cominciata nel 2020, la vera sfida culturale inizia proprio adesso con il venir meno del lavoro agile semplificato.

 

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