Smart Working: da gennaio 2023 solo con l’accordo delle parti

Smart Working: dal 2023 solo se c'è l'accordo delle parti
(foto Shutterstock)

Da gennaio torna in vigore la normativa ordinaria per lo smart working, con obbligo di accordo sottoscritto da azienda e lavoratore

È stato uno dei segni più evidenti della rivoluzione provocata dalla pandemia. Lo smart working verrà ricordato, su scala mondiale, come uno dei lasciti dell’esperienza del Coronavirus. Conquista sociale, opportunità lavorativa oppure costrizione e isolamento lavorativo: il lavoro agile è stato vissuto in vario modo da chi ha lavorato da remoto. 

Quel che è certo è che da gennaio 2023 si ritorna alle origini: finisce lo smart working emergenziale e ritorna in vigore la normativa ordinaria. Con una differenza decisiva rispetto agli ultimi due anni: per lavorare in questo modo è necessario l’accordo anche del lavoratore.

Cosa fare per lavorare in smart working?

Prima dello scoppio della pandemia, il lavoro agile era una modalità di rendere la prestazione riservata a un numero limitato di lavoratori. 

Sin dai primi provvedimenti emergenziali, il legislatore ha capito che, per continuare a garantire l’attività produttiva, era necessario incentivare questa particolare forma di lavoro. È stato così inaugurato lo smart working semplificato, che ha consentito alle aziende, fino a dicembre 2022, di imporre unilateralmente questa modalità. Tuttavia, da gennaio 2023 è tornata in vigore la normativa ordinaria, come disciplinata dal decreto legislativo 81 del 2017.

La principale novità è un radicale cambiamento rispetto all’esperienza degli ultimi due anni: la disciplina ordinaria prevede che il lavoro agile possa essere disposto solo con l’accordo di aziende e lavoratori

Significa che da gennaio 2023 il datore di lavoro non può più imporre lo smart working e che il dipendente può opporsi alla richiesta di lavorare in modalità agile. Serve, dunque, sempre l’accordo.

Che cosa deve contenere l’accordo?

Il contenuto dell’accordo può variare da caso a caso. Le parti possono inserire tutte le previsioni che ritengono più utili per disciplinare il lavoro da remoto. 

Per ritenere un accordo valido, ci sono tuttavia degli elementi essenziali previsti dalla legge, ossia esso deve:

  •       essere redatto per iscritto;
  •       disciplinare “l’esecuzione della prestazione lavorativa svolta all’esterno dei locali aziendali, anche con riguardo alle forme di esercizio del potere direttivo del datore di lavoro e agli strumenti utilizzati dal lavoratore”;
  •       individuare i tempi di riposo del lavoratore e le misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disconnessione del lavoratore.

 È obbligatorio consegnare al lavoratore copia della informativa sulla sicurezza “nella quale sono individuati i rischi generali e i rischi specifici connessi alla particolare modalità di  esecuzione  del  rapporto  di lavoro”.

Sempre dal 1 gennaio 2023 sono cambiate le modalità di trasmissione della documentazione. Infatti, l’azienda è tenuta a sottoscrivere l’accordo con il lavoratore e poi è obbligata a comunicare, in via telematica, i nominativi degli smart workers e l’inizio e la fine delle relative prestazioni lavorative in modalità agile.

Chi ne ha diritto?

Fino al 31 marzo 2023 hanno diritto a lavorare con questa modalità solamente i lavoratori fragili, ossia coloro che hanno una patologia certificata e che rientra tra quelle previste dal decreto ministeriale del 4 febbraio 2022.

La normativa ordinaria prevede solamente dei casi di “priorità” delle situazioni di vero e proprio diritto allo smart working. Hanno diritto a essere preferiti nella scelta lavoratrici e lavoratori:

  • con figli fino a dodici anni di età;
  • con figli in condizioni di disabilità, senza alcun limite di età, con diritto alla legge 104;
  • con grave disabilità certificata;
  • caregivers ai sensi della legge 2017, n. 205.

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