I temi del benessere aziendale sono oggetto di discussione da molti anni e da qualche tempo anche di attenzione normativa
di Gianluca Spolverato e Marta Manti
È stato dimostrato da diversi studi quanto la capacità dell’azienda di diffondere e promuovere il benessere dei collaboratori abbia un forte impatto sull’efficienza e sulla produttività.
Il benessere all’interno di un contesto aziendale può essere letto su tre dimensioni:
Ogni azienda è diversa. È frutto di successi, di errori, di cambi di rotta, di intuizioni, di cambi di identità e di nome. E tutti questi elementi la rendono unica. L’azienda oggi è frutto di questo percorso e, per rispettare l’unicità che la contraddistingue, bisogna scavare sotto la superficie e osservare quali sono i valori che meglio la rappresentano.
Nessun percorso di crescita può avere successo se non è basato su valori solidi e condivisi. Non esistono modelli standard, esistono metodi e strumenti che aiutano e accelerano lo sviluppo, ma i contenuti hanno senso solo se guidati dai valori. L’obiettivo finale è quello di definire una carta dei valori che sia capace di guidare lo sviluppo aziendale verso il futuro.
Una volta definita la propria carta dei valori è necessario fare un ulteriore passo. Perché i valori entrino a far parte della cultura aziendale vanno declinati in modo concreto in azioni, comportamenti e regole coerenti. Quali sono, quindi, le regole, i comportamenti, le attitudini e le prassi che incarnano i valori che sono stati definiti?
Non bisogna avere paura di codificare le regole della propria azienda, perché queste definiscono chi siamo nel concreto e quali sono le azioni e i comportamenti che ci identificano come organizzazione. L’obiettivo è quello di definire la propria cultura aziendale che sia capace di orientare e ispirare il comportamento delle persone che fanno parte dell’organizzazione.
Per benessere organizzativo si intende la capacità di un’organizzazione di promuovere e mantenere il benessere fisico, il benessere psicologico e quello sociale di tutte le lavoratrici e di tutti i lavoratori che operano al suo interno.
Studi e ricerche sulle organizzazioni hanno dimostrato che le strutture più efficienti sono quelle con dipendenti soddisfatti e un “clima interno” sereno e partecipativo.
La motivazione, la collaborazione, il coinvolgimento, la corretta circolazione delle informazioni, la flessibilità e la fiducia delle persone sono tutti elementi che portano a migliorare la salute mentale e fisica dei lavoratori, la soddisfazione degli utenti e, in via finale, ad aumentare la produttività.
È evidente da diverse ricerche in ambito internazionale che la felicità dei dipendenti ha un impatto diretto sul tasso di assenteismo e turnover, sulla produttività e sull’innovazione.
Com’è possibile favorire la “felicità sul lavoro”?
Ciascuno ha la propria idea di felicità, così come ognuno ha i propri bisogni e le proprie aspirazioni, non c’è dunque una ricetta della felicità, ci sono però alcuni comportamenti che le aziende possono adottare per favorire un ambiente di lavoro felice:
In alcune aziende comincia ad operare una figura che rientra in questa dimensione: è il Chief Happiness Officer (CHO) ed è un leader positivo che ha specifiche competenze chiave che servono ad accompagnare la trasformazione positiva di persone, team e organizzazioni. Il suo compito è quello di prospettare e facilitare un approccio alla felicità, quella sostenibile, non come emozione effimera ma come competenza che può essere sviluppata e allenata.
Il CHO è un “complexity thinker” che conosce i principi di funzionamento dei sistemi complessi, sa leggere trend e scenari economici e sociali anticipando futuri possibili, porta la felicità e la positività in azienda come strategia organizzativa e competenza chiave per il raggiungimento degli obiettivi e per un’evoluzione sostenibile, e supporta il cambiamento culturale positivo.