Il valore delle PMI italiane nell’economia globale

PMI italiane

Il tessuto imprenditoriale italiano è costituito prevalentemente da PMI. Ma quale valore hanno queste imprese in un mondo globalizzato?

Le PMI italiane: il motore dell’economia interna

Piccolo è bello. Questa affermazione potrebbe sembrare meno adatta se riferita alle piccole e medie imprese, che oggi, in un mondo sempre più globalizzato, devono affrontare ogni giorno sfide importanti, non solo economiche. 

Tuttavia, è fondamentale ricordare il ruolo centrale che questo tipo di imprese ha nel tessuto produttivo italiano.

Le piccole e medie imprese (PMI) costituiscono infatti la spina dorsale dell’economia italiana, rappresentando il 99,9% delle imprese attive nel nostro Paese ed impiegando il 76% degli addetti nel settore privato con un contributo al valore aggiunto nazionale compreso tra il 60% e il 65%. 

Tra di esse le microimprese (0-9 addetti) con almeno 3 addetti, rappresentano il 78,9% delle imprese, le piccole (10-49 addetti) il 18,5%, e le medie (50-249 addetti) solo il 2,2%. In Italia le grandi imprese sono appena lo 0,4%.

PMI e territorio: una spinta concreta per l’economia locale

Le PMI italiane sono un elemento chiave per lo sviluppo dei territori. Danno valore al tessuto produttivo e contribuiscono a renderlo più dinamico, soprattutto nelle Regioni che ospitano distretti industriali e settori di eccellenza. Dove ci sono PMI forti, ci sono anche più competitività, innovazione e crescita.

Le PMI – secondo l’ISTAT – si concentrano soprattutto al Nord: circa metà delle imprese totali è localizzata nel Nord-Ovest (28,7%) e Nord-Est (22,7%), il Centro ospita il 21,3% e il Sud il 27,3%. La sola Lombardia ospita circa il 31,3% delle PMI italiane; seguono il Centro-Italia (22,5%, con il Lazio al 12,4%) e il Sud (20%).

I distretti industriali: il cuore del made in Italy

Questi dati ci spingono a riflettere sul ruolo delle PMI italiane in un’economia che supera i confini nazionali e che si confronta ogni giorno con sfide globali.  Da questo punto di vista i distretti industriali svolgono un ruolo fondamentale nella dinamica dello sviluppo dei territori. 

Pensiamo ad esempio all’eccellenza produttiva, digitale e di export del Distretto elettromedicale di Mirandola in Emilia-Romagna. Ma non è l’unico esempio.

Il made in Italy si esprime anche attraverso distretti specializzati come 

  • Prato per il tessile e l’abbigliamento, 
  • Arezzo o Vicenza, per l’oro e la gioielleria, 
  • Castelfiorentino/Santa Croce/Vicenza/Padova per la pelle e le calzature,
  • Belluno per l’occhialeria occhialeria, 
  • Recanati-Osimo-Castelfidardo per gli strumenti musicali e la meccanica. 
  • Distretto produttivo dell’informatica pugliese.

Il Veneto, con i suoi 28 distretti industriali, è tra le Regioni più ricche dal punto di vista produttivo, contribuendo per il 26,7% all’occupazione manifatturiera distrettuale nazionale.

Le PMI italiane tra forza e fragilità: un equilibrio da gestire

Far parte di un distretto — che sia tecnologico, manifatturiero o artigianale — può offrire grandi vantaggi alle PMI italiane. In questi contesti, le imprese mostrano spesso performance migliori della media nazionale, soprattutto su temi come digitalizzazione, innovazione e apertura ai mercati esteri, diventando così motore di occupazione locale e di coesione territoriale

Tuttavia, questo scenario positivo non deve trarre in inganno. Le dimensioni possono costituire una leva fondamentale in termini di flessibilità e quindi di crescita, ma anche un ostacolo quando si parla di investimenti, formazione, innovazione tecnologica. 

Ad esempio, per quanto riguarda la digitalizzazione, risulta che nel 2024: 

  • il 70,2% delle PMI (aziende con 10-249 addetti) ha raggiunto un livello base di digitalizzazione (almeno 4 attività digitali su 12);
  • solo il 26,2% delle PMI ha raggiunto un livello alto (almeno 7 attività su 12).

Al contrario, il 97,8% delle grandi imprese ha un livello base e l’83,1% ha un livello alto.

Passaggio generazionale: una sfida ancora aperta per le PMI italiane

Nelle PMI, il passaggio generazionale è spesso un momento delicato, che può influire direttamente sulla capacità di innovare e di sopravvivere nel tempo. Solo una piccola percentuale delle aziende sopravvive alla seconda generazione e in rari casi arriva alla terza. 

Tra le cause vengono identificate ad esempio la mancanza di strategie e di pianificazione dei passaggi generazionali, le resistenze al cambiamento da parte dei fondatori che a volte si accompagna a veri e propri conflitti tra le diverse generazioni

Non sempre le nuove generazioni sono pronte: c’è chi ha una buona formazione teorica ma poca esperienza pratica, e chi porta competenze avanzate che però si scontrano con modelli aziendali troppo tradizionali

Per affrontare questa sfida, le PMI italiane devono superare il classico modello di impresa familiare e aprirsi a forme di governance più strutturate. Quando serve, è utile coinvolgere manager esterni e investitori, per portare nuove risorse, competenze e capacità di innovazione.

Le PMI italiane tra radici forti e nuove sfide da affrontare

Le piccole e medie imprese sono un pilastro dell’economia italiana. Per numero, occupazione e capacità di generare valore, rappresentano una risorsa chiave per la stabilità e lo sviluppo del Paese.

Tuttavia, le sfide legate a competenze, talenti, ricambio generazionale, digitalizzazione e governance ne limitano il pieno potenziale. 

La sfida non è soltanto superare questi ostacoli, ma trasformarli in leve di crescita: programmando il ricambio generazionale, aprendo la governance alla competenza, investendo in formazione manageriale e digitale, e integrandosi in ecosistemi innovativi

Solo così le PMI italiane potranno continuare a essere protagoniste dell’economia italiana: radicate nei territori, ma capaci di competere nel mondo.

 

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