Come i robot e le macchine intelligenti influiscono su sviluppo produttivo e sicurezza sul lavoro
L’Agenzia europea per la salute e la sicurezza sul lavoro (EU-OSHA) ha provato a fare il punto sull’intelligenza artificiale per capire di cosa parliamo davvero quando ci riferiamo a questo fenomeno e per definire le influenze, positive e negative, che avrà la sua crescente introduzione anche in termini di sicurezza e salute negli ambienti di lavoro.
L’espressione “Artificial intelligence” nasce a metà ‘900 dall’aspirazione di creare delle macchine in grado di risolvere problemi e svolgere compiti di cui solitamente si occupano gli esseri umani.
Fin dai suoi albori, l’AI ha suscitato un dibattito, che prosegue ancora oggi, tra visioni ottimistiche e fallimentari dell’avvento dei robot.
Secondo la definizione della Commissione UE, i sistemi di Intelligenza Artificiale “mostrano un comportamento intelligente analizzando il proprio ambiente e compiendo azioni, con un certo grado di autonomia, per raggiungere specifici obiettivi. I sistemi basati sull’IA possono consistere in software che agiscono nel mondo virtuale (come assistenti vocali, software per l’analisi delle immagini, motori di ricerca, sistemi di riconoscimento vocale e facciale); oppure incorporare l’IA in dispositivi hardware (per esempio in robot avanzati, auto a guida autonoma, droni o applicazioni dell’Internet of things)”.
Esistono due forme di AI: la “Weak AI”, assistenziale, con funzione strumentale rispetto all’attività umana, incapace di essere autonoma e di imparare. E la “Strong or Universal AI”, in grado di apprendere e decidere autonomamente. L’intelligenza quindi di quei robot più vicini al comportamento umano, capaci di comunicare con altre macchine generando l’“Internet of things”, e talvolta avvertiti come una minaccia nei confronti del lavoro umano, perché essi possono sostituirlo o dargli un ruolo solo strumentale.
Selezione e valutazione del personale oggi vengono assorbite sempre di più dagli strumenti di “people analytics”, che supportano queste attività combinando dati relativi alla vita lavorativa e privata dei candidati, superando le capacità umane di lavorare le informazioni, per velocità e quantità. Creando così il rischio di sostituire il lavoro “umano”.
Durante le interviste di lavoro gli strumenti di AI, se ben congegnati tecnicamente e in modo rispettoso dell’ordinamento giuridico, possono essere utili per evitare pregiudizi nella scelta dei candidati, effettuando scelte sulla base di criteri oggettivi.
Al contrario invece, può accadere l’opposto qualora un robot abbia dei malfunzionamenti tecnici o sia programmato per escludere una determinata categoria di soggetti dalla selezione, come le donne in gravidanza.
Nell’industria 4.0 governata da sistemi sempre più sofisticati di digitalizzazione della gestione logistica e organizzativa del lavoro, i lavoratori possono sviluppare stress o patologie ansiogene causate dall’incremento produttivo dei ritmi, indotto dalle macchine. E in modo ancora maggiore, quando essi siano a conoscenza di subire una forma di sorveglianza da esse, che possa portare delle conseguenze anche disciplinari.
Nel settore logistico industriale spesso l’AI viene confusa con l’automazione, che consiste nella sostituzione del lavoro umano con quello robotico, per liberare le persone da mansioni rischiose e routinarie. Questa realtà è popolata di “cobots” (collaborative robots), di aiuto per la sicurezza sul lavoro, ma allo stesso tempo avvertiti come potenziali “minacce”, dal momento che possono rimpiazzare alcuni lavori, pur non pericolosi e di routine, eseguiti dall’uomo. Altri fattori di rischio possono essere eventuali problemi di funzionamento, che incidono negativamente costringendo l’uomo a lavorare al ritmo della macchina, oppure relativi alla determinazione delle responsabilità, nel caso in cui la macchina provochi dei danni.
Nel settore logistico gli strumenti indossabili dall’uomo sono in grado di recepire informazioni dall’ambiente circostante e dare indicazioni al lavoratore, utili anche nella protezione di eventi pericolosi per la salute, come la presenza di sostanze tossiche in eccesso.
I dispositivi wearable possono avere funzione di training per i lavoratori meno qualificati ed essere usati nella formazione, come ad esempio i Google glasse, che riproducono virtualmente contesti reali potenziando le capacità di apprendimento dei lavoratori.
Dall’altro lato della medaglia, i lavoratori possono avere dei problemi di comprensione con la lingua della macchina (risolvibili attraverso formazione ed esperienza) o subire dello stress a causa dei ritmi di lavoro elevati.
Nella gig economy, in cui il fattore digitale-tecnologico è fondamentale, sono presenti forme lavorative incentrate sull’uso di piattaforme come Uber che, pur non includendo strumenti di AI, influenzano le preferenze dei clienti all’acquisto, attraverso combinazioni di dati e recensioni.
In questo contesto il rischio di lavori sotto-qualificati e sotto-pagati è elevato, perché spesso i lavoratori sono costretti ad accettare forme di lavoro autonomo che precludono l’esercizio di molti diritti, dalla sicurezza a una retribuzione dignitosa.
È indiscusso come al giorno d’oggi l’AI rappresenti un fattore di crescita per molte realtà industriali, che in essa investono molto, e sul mercato sono valutate come competitive proprio in base al loro grado di innovazione tecnologica.
L’AI è destinata a crescere, ma perché sia efficace e portatrice di risultati positivi a tutti gli effetti, è necessario che i suoi strumenti siano implementati in modo rispettoso della dignità umana e abbiano una funzione sociale, oltre che produttiva.