McKinsey: entro il 2030 a rischio 21 milioni di posizioni a causa di automazione e Covid-19. Per altri 90 milioni di lavoratori saranno fondamentali reskilling e upskilling
Ventuno milioni di posti di lavoro a rischio e quasi 60 milioni di lavoratori, pari al 26% del totale, che a breve termine potrebbero vedersi ridurre lo stipendio, tagliare il numero di ore lavorative o addirittura essere – almeno temporaneamente – licenziati.
È la fotografia scattata dal McKinsey Global Institute, che nel report “Il futuro del lavoro in Europa” analizza l’impatto del Covid-19 sull’occupazione, mettendolo in relazione con l’evoluzione tecnologica e le prospettive occupazionali da qui al 2030.
L’istituto ha preso in esame 1.095 mercati del lavoro locali in tutta Europa e nel Regno Unito, comprendendo 285 aree metropolitane. E il quadro che ne emerge non è rassicurante: il numero di posti di lavoro a rischio è altissimo. Ma più ancora delle posizioni che andranno perse, sono quelle che cambieranno natura: almeno 90 milioni.
Per i lavoratori si prospetta un unica via d’uscita: mettersi in gioco con l’aggiornamento professionale e la disponibilità a rivedere le proprie mansioni.
I numeri sono da capogiro: secondo McKinsey l’automazioneÈ l’insieme dei sistemi e delle operazioni (specialmente elettronici) che rendono automatico un processo produttivo o di funzionamento, eliminando, del tutto o in parte, l’intervento dell’uomo. More del lavoro, che ora si è sovrapposta con l’onda d’urto del Covid-19, rischia di porre fine nei prossimi dieci anni a 24 milioni di contratti, pari al 10% dei posti di lavoro in Europa. Più a stretto giro, 59 milioni di lavoratori (26% del totale) potrebbero subire una riduzione dello stipendio o delle ore di lavoro, o anche il licenziamento.
Circa 21 milioni di persone dovranno lasciare la propria occupazione perché ormai in declino e per altri 90 milioni questo scenario sarà evitabile solo se sapranno aggiornare le proprie competenze. Perché l’effetto più evidente dell’automazione, sostengono gli studiosi, sarà quello di cambiare il lavoro ancor più che diminuire i posti disponibili. La trasformazione sarà più clemente con chi ha conseguito un titolo di studio, dalla laurea in su: quest’ultima è richiesta dal 60% delle professioni in ascesa, ma la possiede solo il 40% degli europei.
Un assaggio dei cambiamenti in arrivo lo abbiamo già avuto negli ultimi mesi. In risposta alla pandemia, infatti, alcune aziende hanno iniziato a ridistribuire i lavoratori inattivi verso le mansioni con più richiesta, hanno adattato i processi per accelerare i passaggi e incoraggiato la formazione da remoto.
In futuro, suggeriscono i ricercatori di McKinsey, con la trasformazione tecnologica le aziende dovranno mostrare la stessa capacità di adattamento.
Prima di tutto, sarà necessario stabilire una visione strategica e determinare se possono utilizzare le nuove tecnologie per ottenere un vantaggio competitivo o difendere il loro posizionamento nel mercato. In secondo luogo, le organizzazioni devono valutare le attuali competenze della forza lavoro, determinare le esigenze future e creare una road map per colmare le lacune. Terzo punto, le aziende potrebbero soppesare l’impatto delle loro decisioni sui paesi in cui operano.
Tra le parole chiave che emergono dallo studio di McKinsey c’è anche mobilità.
Tra il 2003 e il 2018, rilevano i ricercatori, i cittadini europei che lavorano in un Paese diverso dal proprio sono raddoppiati, passando da 8 a 16 milioni (il 4,8% della popolazione in età lavorativa).
Gli espatriati per lavoro si concentrano in 48 città “dinamiche”, tra cui Parigi, Londra, Milano, Roma, Amsterdam, Copenaghen, Madrid, Monaco. Città, dice il report, che già «ospitano il 20% della popolazione europea. Hanno avuto una crescita costante della ricchezza prodotta negli ultimi anni e hanno una forte presenza di attività in espansione, come i servizi finanziari e quelli legati alle nuove tecnologie». Tra questi «hub di crescita dinamica» spiccano i due cluster con il più alto Pil pro capite in Europa (Londra e Parigi) e 46 «hub superstar» sono le aree a crescita più rapida e includono città come Amsterdam, Copenaghen, Madrid e Monaco. Quanto all’Italia, se Roma e Milano figurano tra gli hub superstar, il report segnala anche come al sud e nelle isole a trainare il mercato del lavoro sia il pubblico. Tra le città più bisognose di riqualificazione troviamo in particolare Napoli e Reggio Calabria.
C’è un dato che rende bene la potenza dell’impatto dell’automazione sui lavoratori europei: a soffrirne di più saranno tre settori professionali, che tuttavia coprono da soli il 50% degli occupati nel vecchio continente. Parliamo delle vendite all’ingrosso e al dettaglio, della manifattura, della ristorazione e del settore alberghiero.
McKinsey, però, ha stilato anche una classifica delle occupazioni in crescita, indicando quelle che nei prossimi dieci anni potrebbero trovare un impulso positivo soprattutto grazie alle nuove tecnologie. E si parla di milioni e milioni di posti di lavoro: almeno 4 milioni potrebbero crearsi nell’area scientifica e tecnologica ed altri 4,6 milioni nell’area sanitaria (tecnici, medici e infermieri). Buone notizie anche per i professionisti del business e dell’area legale: per loro, entro il 2030 potrebbero aprirsi fino a 3,9 milioni di posti.